Ci sono molte buone ragioni per guardare senza entusiasmo alla riforma costituzionale sottoposta a referendum. Disgraziatamente le buone ragioni sono sostenute da una parte soltanto dello schieramento impegnato per il voto contrario, non certo quella che uscirà politicamente vincitrice da un eventuale successo numerico del no.

Penso agli intellettuali che già si erano distinti nella lotta contro le manomissioni della Costituzione realmente tentate da Silvio Berlusconi: figure di grande prestigio, a cui si devono stima e rispetto, come Gustavo Zagrebelsky, Stefano Rodotà e Salvatore Settis. Penso a tutti coloro che, come i vertici dell’Anpi, sono convinti di salvaguardare a questo modo il patrimonio inestimabile della carta costituzionale così com’è.

I vincitori effettivi saranno altri. Innanzitutto il Movimento 5 Stelle. Il vero motivo per cui i 5Stelle puntano alla vittoria del no non è certo quello nobile della difesa della Costituzione. Essi pensano non a torto che la sconfitta di Renzi avrebbe il principale risultato di dare nuovo alimento al discredito delle istituzioni e del ceto politico in quanto tale, avvantaggiandoli nella loro scalata al potere. L’ennesimo fallimento del tentativo di compiere una modifica dell’ordinamento da tempo all’orizzonte, il perdurare di uno stato di diffficoltà dei poteri costituiti a realizzare i propositi enunciati, la confusione e l’incertezza crescente, l’eventualità di nuovi equivoci patti e di governi senza volto: tutto ciò darebbe loro ulteriori chance.

Forse voleva dire questo Grillo, quando ha raccomandato ai suoi seguaci di votare con la pancia, per non dire con altro. La pancia dice che peggio vanno le cose, più si alza la temperatura del rifiuto indiscriminato, e più il movimento si allarga. Fin dal tempo di Tangentopoli, la richiesta di pulizia in politica ha sempre avuto esiti ambivalenti. Anziché interrompere la spirale perversa che dura in Italia da troppi decenni, è assai meglio per questo movimento, o almeno per i suoi capi palesi e occulti, che essa si protragga.

Il secondo vincitore sarà la destra, quella messa all’angolo e alla ricerca di un possibile rilancio, nei suoi disparati volti. Berlusconi naturalmente, le cui contorsioni da attore consumato, anzi decrepito, della vecchia politica non riescono a nascondere l’obiettivo vero: quello di riemergere dalle ceneri, in un modo o nell’altro, approfittando del caos. Lo ha detto in un’intervista uno che lo conosce bene, il senatore Marcello Pera. E’ vero che egli cerca come sempre di tenere i piedi in due scarpe, ma sa bene che solo un rimescolamento di tutto il quadro politico gli restituirebbe almeno in parte la scena.

Per non parlare di Salvini, Meloni e Toti, i campioni dei respingimenti dei profughi e dell’uscita dall’Euro, gli amici di Le Pen e di Putin. Non direi proprio che Salvini, discendente del secessionista Bossi, compagno di quel Calderoli che dette dell’orango a una senatrice della repubblica, possa passare per un indomito difensore dei valori costituzionali, delle istanze di uguaglianza, dei diritti civili e umani. Anche loro sanno benissimo che solo la babele delle lingue rinfocolata dal respingimento di una legge passata per due anni al vaglio del Parlamento, riaprirebbe i giochi permettendo a loro di rialzare la testa.

Esperti e indovini stanno almanaccando su cosa succederà all’indomani del 4 dicembre. Io non sono né un esperto né un indovino, ma sono certo di una cosa. Se non passerà la riforma, tutti costoro usciranno rinfrancati e più agguerriti. Non sarà un’apocalisse, molto più semplicemente crescerà la demagogia. Questo non renderà la democrazia più forte ma ancor più vulnerabile. Non farà uscire l’Italia dal piano inclinato del populismo che sembra pesare come una maledizione sulla sua storia recente.