Affrontare il viaggio dall’Africa all’Italia è un incubo per tutti. Se sei donna molto di più. Le violenze sono la norma e le ferite vanno ben oltre quelle fisiche. Ribika, partita dall’Eritrea, dopo aver attraversato il deserto si è imbarcata in Egitto e ha navigato per giorni, tre sono stati di tempesta. Erano 370 su quel legno malandato: «Stavamo talmente stretti che muscoli e ossa gridavano per il dolore». Insieme a Semira invece viaggiavano 450 persone e ogni onda pareva quella che avrebbe rovesciato le loro vite in mare per sempre. Quando ha toccato terra ha pianto, per cacciare la paura ma anche perché sentiva forti dolori alla pancia.

QUESTE RAGAZZE, vulnerabili e sole, nel giugno 2016 vengono portate a Settimo Torinese, nell’hub gestito dalla Croce Rossa. Dopo un mese vissuto in tenda, le trasferiscono a Villar Perosa. Il Centro di accoglienza straordinaria (Cas) è gestito dalla cooperativa sociale La Dua Valadda, che si è sempre occupata di asili nido e case di riposo. In tutto le donne ospitate sono 27, nigeriane, ivoriane, camerunensi ed eritree. Rispetto alle altre, le ragazze eritree hanno una speranza in più. Nell’hub di Settimo hanno compilato dei moduli per l’inserimento nei programmi di relocation, saranno cioè trasferite in altri Paesi europei. Ribika sogna di riabbracciare il compagno in Svezia, Senit di andare a vivere coi parenti in Svizzera, Mynia invece ha la famiglia dispersa, il figlio è rimasto in Eritrea mentre il marito, fuggito anche lui, è chiuso in un centro di detenzione per stranieri in Israele. Semira spera di iniziare una nuova vita in Norvegia.

Il ricollocamento non riguarda tutti, ma solo le persone delle nazionalità con una media di riconoscimento della protezione internazionale superiore al 75%. In pratica siriani ed eritrei. Un aspetto che l’europarlamentare Elly Schlein, membro della Commissione per le libertà civili e autrice di numerose proposte sulla revisione delle regole europee sull’asilo, stigmatizza: «Questo assurdo criterio ha creato chiare discriminazioni, in aperta violazione della Convenzione di Ginevra, che prevede un esame sempre individuale della domanda d’asilo».
Il sistema di ricollocazione nasce a metà 2015, la Commissione europea prevede che vengano trasferiti 160mila migranti da Italia e Grecia, ma 25 Paesi, molti tra i più ricchi del mondo, mettono a disposizione solo 26.790 posti. In Italia 8673 persone sono coinvolte nel programma, 7955 adulti e 718 bambini. Il giudizio dell’onorevole Schlein sintetizza l’amarezza per un fallimento: «In un anno e mezzo sono state ricollocate solo 12mila persone. E dall’Italia in tutto 3200. Una vergogna».

IL RICOLLOCAMENTO, che non sta funzionando, si accompagna ad altri e più efficaci provvedimenti che compongono l’Agenda europea sulla Migrazione. «Le politiche di Consiglio e Commissione sono tutte tese all’esternalizzazione delle frontiere e delle nostre responsabilità», afferma Schlein ricordando «il vergognoso accordo con la Turchia, ora preso a modello per la Libia, che non ha firmato la Convenzione di Ginevra, e con le nazioni africane grazie ai Migration compact, travisando il senso della cooperazione condizionandola al controllo delle frontiere».

Semira e Mynia a inizio aprile, dopo 8 mesi nel Cas, hanno ricevuto il nulla osta, potranno andare finalmente in Norvegia. Ma per due di loro che partono, 3513, 130 solo in Piemonte, aspettano ancora.

NEL CAS DI VILLAR PEROSA queste giovani donne hanno vissuto le disfunzioni dell’accoglienza italiana. Semira ne porta addosso le cicatrici: arrivata al centro continuava a non stare bene, la visita un medico che la liquida attribuendo il dolore allo stress. Due giorni dopo il male è insopportabile, telefona agli operatori per farsi accompagnare all’ospedale, le dicono che deve aspettare. A quel punto minaccia di chiamare l’ambulanza, per tutta risposta la responsabile le comunica che avrebbe dovuto pagare 50 euro. A mezzogiorno Semira raggiunge finalmente l’ospedale di Pinerolo. Dopo le analisi i medici si vedono costretti ad asportarle un’ovaia.

Nel Cas il malessere è palpabile. Molly è incinta di 8 mesi: «Presto avrò le doglie, senza l’operatore presente spero che riusciremo a far venire l’ambulanza, nessuna di noi parla bene italiano». I corsi di lingua, dicono, sono una volta alla settimana. Poco o nulla hanno imparato qui in nove mesi.

Chimamanda forse non potrà mai avere figli, è affetta da endometriosi, una malattia che attacca l’utero. Cammina a fatica e ha il viso contratto dalla sofferenza. Non c’è una cura, si può solo cercare di ridurre il dolore con le medicine. Asa ha 17 anni e non dovrebbe stare qui, ma in un centro per minori. Il cibo è scarso e di pessima qualità e le ragazze fanno un ora di pullman per andare a raccogliere frutta e verdura di scarto al mercato di Porta Palazzo a Torino.

I controlli nei Cas sono affidati alla Prefettura, ma quella di Torino ha quattro persone per monitorare 332 centri che accolgono più di 5mila persone. Alcune ragazze vengono prelevate da connazionali per 72 ore, quelle consentite di allontanamento dalla struttura, e costrette a prostituirsi. «Per legge dovrebbero esserci degli operatori giorno e notte, ma non accade più da un po’ di tempo», dicono le ragazze.

Elly Schlein è conscia delle condizioni dei migranti in Italia: «L’approccio emergenziale è problematico ed esaspera i conflitti sociali. Si basa su affidamenti diretti anziché appalti trasparenti. Ho visto enti gestori fare la cresta sulle merendine, Cie con centinaia di nigeriane vittime della tratta abbandonate a loro stesse, che chiedevano da giorni un test di gravidanza o cure mediche, costrette ad appendere le lenzuola alle finestre per il freddo. Non è umano».

IL 29 SETTEMBRE il programma di relocation si esaurirà, alla Commissione europea non rimarrà che lo strumento dell’infrazione, infliggere multe agli Stati renitenti, lasciando il problema irrisolto.

Ribika ci chiede un passaggio per Torino. Oggi arriva il suo fidanzato dalla Svezia: «Lui è rifugiato da 3 anni, quando riesce a mettere da parte abbastanza soldi viene a trovarmi. Vorremmo sposarci, ma al centro mi hanno detto che non c’è possibilità. Io ci spero comunque». Tra qualche giorno saranno di nuovo separati.