Pd e Movimento Cinque Stelle si dividono sul ddl Smartphone che toglie ai pm la possibilità di sequestrare i telefonini e li obbliga a farsi autorizzare da un gip. Al Senato i voti favorevoli sono stati 89 (la maggioranza più Italia Viva), 18 i contrari (il M5s) e 34 gli astenuti (il Pd). Una frattura evidente su un tema delicatissimo come la giustizia, anche se manca un passaggio alla Camera e la questione si è consumata tutta nel giro di poche ore, senza grandi sussulti nell’opinione pubblica e con un dettaglio non irrilevante: tutti, persino il M5s che un anno fa aveva presentato una proposta di legge sul tema, sono di per sé favorevoli al fatto che il pm non possa più da solo sequestrare uno smartphone. Sia pure con qualche distinguo nei modi e nei termini.

ROBERTO SCARPINATO lo ha detto chiaro e tondo nel suo (comunque durissimo) intervento: «Va bene che deve decidere il giudice, ma la maggioranza ha debordato prevedendo questo anche per i documenti che non rientrano nella corrispondenza, come quelli bancari, le ricevute». Da qui, secondo il senatore ed ex pm, il rischio di «paralisi in ogni piccolo tribunale per cui non ci saranno più giudici per i collegi». Quindi l’approvazione del senato del ddl diventa «una Caporetto della legalità, con procedure farraginose e senza copertura costituzionale». Nel merito la questione riguarda il nuovo articolo 254 ter del codice di procedura penale: il pm dovrà chiedere al gip il sequestro. Poi, in caso di autorizzazione, entro cinque giorni ci dovrà essere l’avviso alla persona sottoposta alle indagini, che hanno diritto a partecipare allo svolgimento delle operazioni di duplicazione del contenuto del dispositivo ed eventualmente possono anche impugnare il provvedimento davanti al Riesame e poi in Cassazione. Se il pm vuole sequestrare «dati inerenti a comunicazioni, conversazioni o corrispondenza informatica inviate e ricevute» deve chiedere una nuova autorizzazione al gip, che pure potrà essere oggetto di ricorso da parte dell’indagato. «Il rischio reale adesso è quello di rendere le indagini più complicate, un labirinto, con decisioni impugnabili due volte e in Cassazione, difficoltà degli investigatori e non dei vantaggi, con uno scarico di lavoro sui gip, che per giunta in futuro diventeranno un collegio di giudici», spiega Walter Verini del Pd, che tuttavia vede possibilità di miglioramento del testo. «Siamo stati tentati di votare contro per via del pasticcio – prosegue -, ma magari alla Camera ci potrà essere un ripensamento». In effetti la possibilità di convergenza tra maggioranza e opposizione c’era, magari a partire dai testi del forzista Zanettin e del grillino Scarpinato. Ma, dice ancora Verini, «la maggioranza ha respinto tutti gli emendamenti e ha fatto un pasticcio».

Walter Verini (Pd)
La maggioranza ha respinto gli emendamenti e fatto un pasticcio. Siamo stati tentati di votare contro, ma alla Camera può essere diverso

ITALIA VIVA, come sua prassi, ha fatto opposizione all’opposizione. Matteo Renzi se l’è presa direttamente con Scarpinato, «colpevole» di aver usato la parola «malintenzionati» nel suo intervento. «Provo un senso di disappunto quando un membro del Senato, un ex pm, si permette di parlare di garanzie costituzionali dei cittadini che chiama “malintenzionati”, anche se non è stata provata ancora l’effettiva commissione di un reato», ha detto Renzi. E Scarpinato ha replicato: «Da pm ho avuto spessoa che fare con dei malintenzionati». Uno scontro dialettico in verità piuttosto buffo, che non aggiunge molto al merito della vicenda ma che testimonia una volta di più la pessima considerazione reciproca tra i cosiddetti riformisti e i pentastellati.