Diventa sempre più difficile e complicata la situazione in Somalia dopo che, in questi giorni, il governo centrale ha perso il controllo di alcune aree della capitale Mogadiscio.

Una crisi legata al mancato svolgimento di elezioni presidenziali entro la scadenza naturale del mandato del presidente Mohamed Abdullahi Mohamed (noto come Farmajo), lo scorso 8 febbraio, a causa delle divergenze tra le opposizioni e il governo centrale.

A metà settembre 2020 il presidente Farmajo, sei leader regionali e il sindaco di Mogadiscio avevano raggiunto un accordo che prevedeva lo svolgimento delle prime elezioni pienamente democratiche dal 1969, «dando a ogni cittadino un voto», visto che nell’attuale sistema elettorale i delegati dei clan eleggono i parlamentari che poi votano il presidente.

Accordi naufragati successivamente a causa delle spinte indipendentiste dei diversi Stati e con l’accusa delle opposizioni politiche nei confronti di Farmajo di «voler sfruttare l’impasse politica per arrivare a un ulteriore mandato, senza passare dalle urne».

Accuse che si sono concretizzate la settimana scorsa quando la camera bassa del parlamento somalo ha votato una risoluzione che ha prolungato di due anni il mandato del presidente, decisione duramente contestata e rigettata dal Senato, dalle opposizioni e da alcuni governatori come «un tentativo di auto-proclamazione da parte di Farmajo».

Mercoledì i leader dei diversi clan delle opposizioni, inclusi due ex presidenti, con le loro milizie armate si sono ritirati dall’albergo di lusso in cui erano alloggiati per partecipare ai colloqui e hanno occupato alcune aree della città.

Le forze leali all’ex presidente Hassan Sheikh Mohamud e quelle dell’ex signore della guerra, Muse Sudi Yalahow, avrebbero occupato due quartieri di Mogadiscio (Abdiasis e Karan) dispiegando le proprie milizie in attesa di possibili attacchi da parte dei militari fedeli al presidente.

Nella parte meridionale di Mogadiscio (Shirkole) le forze di sicurezza «ammutinate» che sostengono il comandante della polizia, Sadiq”John”Omar – recentemente licenziato perché aveva dichiarato di essere «contrario al prolungamento del mandato di Farmajo» – hanno istituito posti di blocco intorno alla sua residenza, pronti a respingere qualsiasi attacco del governo.

Farmajo nel frattempo, è tornato ieri sera dalla Repubblica democratica del Congo, dove ha ottenuto dall’attuale presidente in carica dell’Unione africana «una possibile mediazione per uscire dalla crisi politica».

Un sostegno vitale: la settimana scorsa anche la comunità internazionale aveva aspramente criticato il prolungamento del suo mandato e il segretario di Stato americano Antony Blinken aveva minacciato «dure sanzioni nei confronti di un governo illegittimo».

L’attuale crisi politica minaccia di approfondire le divisioni della Somalia, distogliendo l’attenzione dalla lotta contro al-Shabaab, legata ad al-Qaeda, che negli ultimi mesi ha approfittato del vuoto di potere per lanciare nuovi attacchi contro la capitale e alcune aree della Somalia. L’ultimo in ordine di tempo è quello di mercoledì con colpi di mortaio sul palazzo presidenziale di Mogadiscio che ha causato, secondo le autorità, «parecchi morti e feriti tra le forze lealiste al presidente».

Riguardo al rischio di una nuova guerra civile sono chiare le parole di Abdi Aynte, ex ministro e co-fondatore di Heritage Institute for Policy Studies, intervistato dal quotidiano inglese The Guardian: «Ora è una questione di quando e non di se, perché penso che ci stiamo dirigendo verso un nuovo conflitto civile (…) a causa del fatto che siamo una nazione fragile tenuta insieme da un delicato processo di riconciliazione che è fallito».