Taiwan non è solo un’isola. Taiwan non è solo Taiwan. Il governo di Taipei amministra oltre 150 isole. Alcune di esse si trovano di fronte alle coste della Repubblica Popolare Cinese. Nel punto più vicino, l’ex avamposto militare di Kinmen dista appena due km dalla metropoli cinese di Xiamen, sede dei tanti video circolati sui social nei giorni scorsi che immortalavano lo spostamento di carri e mezzi armati di Pechino. Le Matsu, a una decina di km dal Fujian, sono considerate strategiche perché conservano un sito missilistico.

Sono quei territori di “confine” che stimolano paralleli con Crimea e Donbass. Entrambi i luoghi non hanno vissuto la colonizzazione giapponese e hanno sempre fatto parte della Repubblica di Cina, di cui rappresentano la manifestazione più visibile.

Le statue di Chiang Kai-shek, figura tabù a Taipei, fanno ancora bella mostra sull’arcipelago delle Matsu. Gli abitanti non si sentono taiwanesi, ma cinesi, e parlano lo stesso dialetto del Fujian.

Pur divisi politicamente dalla Repubblica Popolare, la loro appartenenza identitaria non è in discussione.

Secondo diversi analisti, queste isole potrebbero essere l’obiettivo di una prima azione militare volta a erodere il territorio controllato da Taipei. Altri ritengono che Pechino vi agirebbe militarmente solo durante un’invasione su larga scala. Al momento Kinmen e Matsu sono gli unici luoghi di interconnessione tra le due sponde dello Stretto, quelli che nella visione di Pechino possono (o potevano) fungere da ponte per una «riunificazione» (o unificazione secondo i taiwanesi) pacifica.

Ci sono poi Dongsha, a 300 km di distanza da Hong Kong, e la lontana Taiping, la più grande isola delle Spratly nel mar Cinese meridionale. Popolate solo da militari, potrebbero essere una “preda” simbolica.