Prove generali per la tre giorni di mobilitazioni previste a partire da domani in Catalogna. Già, perché le elezioni non fermeranno le proteste contro la dura sentenza inflitta ai leader indipendentisti e per difendere il diritto all’autodeterminazione. È questo il messaggio principale che i manifestanti hanno voluto mandare anche alla vigilia del voto spagnolo.

L’OBIETTIVO della piattaforma Tsunami Democràtic era duplice: testare se l’app che centinaia di migliaia di persone hanno già istallato sui propri cellulari, e attraverso la quale questo ancora in parte misterioso gruppo di attivisti intende organizzare una serie di proteste a sorpresa, funziona correttamente; e l’altro, quello di sabotare pacificamente la cosiddetta «giornata di riflessione preelettorale», il tradizionale sabato di silenzio dopo la chiusura della campagna elettorale.

Entrambi gli obiettivi sono stati raggiunti: nonostante l’hacking della polizia spagnola, che anche ieri ha cercato di far chiudere vari siti che ospitavano l’app, le informazioni sono arrivate a moltissime persone e al grido di «facciamoli riflettere» sono state organizzate iniziative (come concerti, picnic, castagnate) in 300 comuni catalani e in pieno centro a Barcellona, accanto all’università, dove da qualche settimana è anche in corso un accampamento di protesta. Una acampada che ieri però una parte degli organizzatori legata ai gruppi giovanili di alcuni partiti politici (come Esquerra Republicana e la Cup) ha voluto sconvocare in polemica con un secondo gruppo di organizzatori che invece è voluto rimanere (con un centinaio di tende).

PER UNA VOLTA, la Giunta elettorale centrale, competente per tutte le questioni relative al voto e al rispetto della par condicio, ha preso una decisione saggia, e ha risposto picche alla richiesta del Pp di proibire le manifestazioni nella Plaça Universitat di Barcellona. Che infatti sono andate avanti fino a sera senza incidenti, ricordando l’anniversario dei 5 anni dal primo referendum «simbolico» (2 milioni di votanti) organizzato dall’allora presidente catalano Mas. Durante il pomeriggio si sono fatti vedere anche alcuni candidati indipendentisti alle elezioni di oggi.
Nella stessa piazza, maggiore preoccupazione invece destava la manifestazione organizzata alle 7 dai Comitati di difesa della repubblica, con l’obiettivo, ancora una volta di arrivare a protestare sotto la sede della polizia spagnola nella non lontana Via Laietana. La polizia, in massima allerta, ha impedito in forze l’accesso alla zona limitrofa alla piazza Urquinaona (dove nelle settimane scorse si erano concentrate le proteste). All’ora in cui chiudiamo il giornale si erano verificate solo schermaglie tra forze dell’ordine e manifestanti, inseguiti e dispersi nelle vie circostanti, ma nessuno scontro violento.

L’OBIETTIVO DI MANTENERE le luci puntate sulla Catalogna era condiviso anche dal governo spagnolo: il presidente Sánchez ha fatto sapere a tutti i media di aver presieduto una riunione del comitato interministeriale di coordinazione sulla Catalogna per predisporre misure «precise e necessarie» per garantire il diritto di voto oggi, come ha spiegato il ministro degli interni Grande Marlaska.

Vada come vada oggi, è chiaro che le proteste in Catalogna continueranno, e questa sarà la prima emergenza politica del nuovo esecutivo spagnolo.