Algeria, le donne sono in testa
Prosegue l'ondata di proteste Ieri i cortei guidati dalle algerine hanno invaso tutte le città del paese, per dire basta al clan di Bouteflika e rivendicare anni di lotte contro le discriminazioni di genere e il terrorismo
Prosegue l'ondata di proteste Ieri i cortei guidati dalle algerine hanno invaso tutte le città del paese, per dire basta al clan di Bouteflika e rivendicare anni di lotte contro le discriminazioni di genere e il terrorismo
Solo qualche settimana fa le algerine non avrebbero mai immaginato di poter festeggiare l’8 marzo insieme a milioni di persone. Sono state loro ieri a guidare i cortei che hanno invaso tutte le città del paese, avvolte nella bandiera algerina, alcune nel loro abito tradizionale, colorato quello delle berbere, bianco quello delle anziane di Algeri.
Nella capitale ha sfilato anche Djamila Bouhired, 84enne combattente della guerra di liberazione algerina, molto apprezzata per la sua integrità: non ha mai goduto dei privilegi spettanti ai moujahidin.
PER LE DONNE algerine l’8 marzo non è quasi mai stato una ricorrenza puramente rituale, è stato negli anni un momento che ha segnato le loro lotte: come nel 1994 quando hanno coraggiosamente sfidato il terrorismo scendendo in piazza o quando si sono mobilitate per cambiare il codice della famiglia, che le discriminava fortemente.
Anche ieri la loro massiccia presenza tra la marea di gente che ha manifestato contro la candidatura di Bouteflika per la quinta volta alle presidenziali è solo una nuova dimostrazione della partecipazione delle donne agli eventi storici dell’Algeria.
Ieri i loro youyou sono risuonati nei cortei in segno di buon auspicio: non c’è ancora motivo di festeggiare, il sistema che si vuole abbattere è ancora al potere, ma inizia a mostrare crepe in tutte le istituzioni che finora l’hanno sorretto: dall’organizzazione dei moujahidin a quella dei figli dei martiri, ai partiti e al sindacato.
È IL TERZO VENERDÌ di manifestazioni e la partecipazione continua ad aumentare. L’iniziativa partita dai giovani – una componente importante visto che gli algerini con un’età inferiore ai 15 anni sono 29,7 milioni e quelli inferiore ai 30 anni il 54% della popolazione – ha finito per coinvolgere tutte le età, fino all’infaticabile difensore dei diritti umani, Abdennour Ali-Yahia, che dall’alto dei suoi 98 anni ha dichiarato il suo sostegno agli insorti per un’Algeria democratica.
L’ingente dispositivo messo in campo dalle forze dell’ordine è stato annientato dalla massiccia presenza di manifestanti e qualche lancio di lacrimogeni non ha provocato reazioni scomposte. La parola d’ordine che vuole la mobilitazione pacifica resiste, e questa è la forza dell’intifada algerina. Non era facile da immaginare, nel 2011 gli algerini non avevano seguito le rivolte degli altri paesi arabi, qualche manifestazione era stata bloccata sul nascere dalle forze antisommossa.
Allora gli algerini erano ancora traumatizzati dagli anni Novanta, il decennio nero in cui il terrorismo ha insanguinato il paese provocando oltre 100mila morti (non ci sono dati precisi, le cifre che circolano sono le più disparate). Ora la spinta è venuta da quella generazione che non ha vissuto quegli anni terribili se non nel racconto dei loro familiari o nelle immagini delle vittime che anche ieri sono apparse in qualche corteo. La spinta dei giovani ha rotto il clima di rassegnazione o disillusione che sembrava aver narcotizzato gli algerini. Anche se un malessere diffuso era espresso da vari settori della società: docenti, intellettuali, giornalisti.
IL QUINTO MANDATO preteso dai sostenitori di Bouteflika – visto che probabilmente lui è manovrato da chi realmente detiene il potere e non ha ancora trovato una figura presentabile da candidare – ha fatto traboccare il vaso. La rivolta è partita dai giovani che studiano o che hanno terminato gli studi e non vogliono più abbandonare il paese anche se non trovano lavoro.
E i disoccupati non sono solo i maschi ma anche le femmine che in numero maggiore si laureano (ma solo il 70% trova lavoro), perché non godono di quegli espedienti che inducono i ragazzi ad abbandonare gli studi. Finché il prezzo del petrolio era alto, il governo aveva distribuito soldi ai giovani per avviare un lavoro, ma ora non è più così.
Alla protesta dei giovani si è aggiunta la classe media, particolarmente colpita dal terrorismo negli anni ’90 e che non ha mai avuto un risarcimento morale perché quei crimini sono rimasti impuniti. La classe media era rimasta silenziosa in questi anni. Il decennio nero aveva provocato anche una massiccia «fuga di cervelli» e delle élites nel mirino dei terroristi.
Nei giorni scorsi la Sonatrach (impresa petrolifera di stato) ha annunciato l’aumento degli stipendi ai dipendenti del 20%, proprio per evitare la fuga dei propri tecnici all’estero, dove guadagnano di più. La decisione è stata criticata dal capo del governo Ahmed Ouyahia per le difficoltà economiche che attraversa il paese. Governo che anche di fronte alle manifestazioni oceaniche di questi giorni tace, forse sperando che alla fine la protesta si esaurisca. Ma sembra proprio che non sarà così se per dare un colpo al sistema si comincia a parlare di uno sciopero generale che, soprattutto nel settore petrolifero, potrebbe veramente mettere in ginocchio il paese.
UN RUOLO IMPORTANTE nella preparazione di queste manifestazioni l’hanno avuto i social network, soprattutto Facebook, alimentati anche dalla satira, l’Algeria ha una grande tradizione di vignettisti. Attraverso YouTube sono invece circolati i canti dello stadio riadattati alla politica. E i club dei tifosi delle varie squadre hanno avuto un ruolo importante nella preparazione delle manifestazioni.
Se partecipano tutte le componenti della società algerina, senza distinzione di età, di appartenenza politica o etnica, di strato sociale, di credenza religiosa o meno, per ora gli «anonimi» promotori respingono qualsiasi tentativo di rappresentarli. Sono stati finora respinti i tentativi degli islamisti, nessuno slogan ha un riferimento religioso, l’obiettivo è: «Un’Algeria democratica e libera». Nel frattempo, finita la manifestazione, i giovani raccolgono i rifiuti. Un segno di civiltà.
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