Uno dei fatti politici più importanti degli ultimi decenni, in Occidente, è la rappresentazione delle classi popolari come base sociale della destra. Sul tema si esercitano media, politici, analisti e studiosi.

È un coro, e un coro è sempre il segnale di una volontà egemonica. La descrizione che viene data in questi giorni dei fatti di Torre Maura è completamente coerente con questa tendenza. Si prende un episodio specifico, lo si decontestualizza, lo si generalizza, e si afferma la sentenza: “La sinistra è elitaria, il popolo è di destra, la destra è popolare”. Questa rappresentazione è in realtà segnata da tre paradossi.

Primo. Negli ultimi decenni è decresciuta, anche se non scomparsa, la capacità dei settori popolari di sollevare rivendicazioni e rappresentazioni della società autonome e coerenti. Tuttavia, quando questa capacità si manifesta (per esempio nei conflitti sociali), viene oscurata o descritta come violenta, corporativa, politicamente e culturalmente analfabeta, da parte degli stessi media che ora denunciano il divorzio tra sinistra e popolo.

Secondo paradosso. Nello stesso tempo, i fenomeni politici più importanti di questo tempo vengono tutti attribuiti alle classi popolari. La Brexit, la vittoria di Trump, la crescita degli estremismi di destra, le vittorie di 5 Stelle e Lega, l’intera ‘ondata populista’ europea (di destra, di sinistra o degli agnostici). Le classi popolari si manifestano così nella rappresentazione dei media come fantasma, come entità invisibile che produce catastrofi politiche.

Terzo. È in atto una competizione a chi ripete più volte quanto la sinistra sia lontana dal popolo e quanto invece la destra sia in grado di interpretarlo. Naturalmente, si intende in questo caso la ‘sinistra’ dei partiti socialisti, della difesa della globalizzazione e dell’austerità. La stessa sinistra e le stesse posizioni che i media, che ora denunciano il distacco tra popolo e sinistra, hanno sostenuto e sostengono. Non che la denuncia della frattura tra sinistra e popolo non abbia una base solida di realtà, ma la continua descrizione della sinistra come categoria indistinta e contrassegnata da uno snobismo antipopolare ha anche diversi elementi di strumentalità.

Uscirà tra poco un libro che illustra i risultati di una ricerca su classi popolari e politica, condotta dal Cantiere delle Idee nelle periferie di Milano, Firenze, Roma e Cosenza, con risultati in forte controtendenza. Emerge sicuramente, tra gli abitanti delle periferie, una rappresentazione del mondo basata su contraddizioni.

Da un lato, i problemi riscontrati nella vita sociale sono problemi prima di tutto ‘materialistici’: non lavorare o lavorare male, precari e sottopagati; la casa, l’accesso ai servizi e ai trasporti. L’immigrazione è spesso citata tra i problemi più importanti, ma anche di questa si segnala solo il potenziale impatto ‘materialistico’. Il potere è collocato nella dimensione economica, nei grandi attori privati, nel denaro. Dall’altro lato, però, il disprezzo delle persone va soprattutto ai politici e ai partiti, pochissimo a chi detiene il potere economico.

I problemi per questi soggetti sociali dipendono da un cattivo funzionamento delle istituzioni. Nello stesso tempo, si invoca il ritorno di partiti e politici autorevoli. Quasi tutto dei problemi dell’Italia è ricondotto a responsabilità dello Stato, ma si chiede il ritorno alla centralità dello Stato. Si difendono la concorrenza e la meritocrazia, ma si è spaventati dallo stato di natura creato dal mercato e si chiedono politiche pubbliche redistributive.

Questo insieme di contraddizioni definisce due polarità. Una polarità progressista sul piano delle politiche pubbliche. Una polarità più disincantata, particolarmente sensibile agli allarmi suscitati sul tema dell’immigrazione.

Nella ricerca prevale il primo polo sul secondo. Sui temi del lavoro e dello stato sociale abbiamo identificato un ‘senso comune progressista’. Non abbiamo mai osservato invece accentuazioni xenofobiche o culturaliste dell’ostilità all’immigrazione, anche dove questa è presente. È poi unanime la richiesta di ‘ricostruire la società’, cioè forme di solidarietà collettiva e appartenenza.
Le rappresentazioni politiche delle classi popolari, al contrario di ciò che sostengono molti osservatori, non sono in prevalenza reazionarie. Come sempre, è la politica a decidere quali elementi, all’interno di un groviglio valoriale contraddittorio, diventano egemonici. Limitarsi a montare e smontare liste elettorali, come fa la sinistra italiana da dieci anni, non è l’attività più utile per lavorare in questa direzione.