Medico, psichiatra, psicoterapeuta, Piero Cipriano ha lavorato in vari dipartimenti di salute mentale, dal Friuli alla Campania e da qualche anno lavora in un Spdc (Servizio Psichiatrico di Diagnosi e Cura) di Roma. Tra le sue pubblicazioni la «trilogia della riluttanza» (La fabbrica della cura mentale, Il manicomio chimico, La società dei devianti) e recentemente Ayahuasca e cura del mondo (Politi Seganfreddo edizioni, pp. 153, euro 15,00).

Da qualche anno anche i media italiani hanno «scoperto» l’Ayahuasca, pozione psicoattiva dell’Amazzonia, ma in perfetto stile proibizionista troppo spesso non sanno di cosa scrivono. A Piero Cipriano la parola per fare un po’ di chiarezza.

Il titolo del suo libro?
Innanzitutto non è «Ayahuasca è cura del mondo» ma «e cura del mondo», c’è una certa differenza. Gli editori hanno in qualche misura imposto il nome ayahuasca sul titolo, io non lo volevo, poi alla fine va bene così. Questa bevanda che oggi si pone, quasi come l’LSD negli anni 60, come la più nota delle pozioni visionarie, psichedeliche, ci induce a ripensare a che cos’è la medicina, cos’è la psichiatria, questa nostra medicina che separa corpo e mente, ancora figlia del pensiero cartesiano. I medici ancestrali, tradizionali, hanno una visione ancora giustamente olistica, non separata, di un essere, di una persona che ha dei disturbi e delle malattie. Noi occidentali abbiamo parcellizzato tutta la sofferenza in tante entità. Molti che hanno compreso i limiti della nostra medicina da qualche decennio si rivolgono altrove, vanno in posti esotici, presso chiese sincretistiche come il Santo Daime brasiliano dove si usano appunto queste medicine visionarie. Non solo l’ayahuasca, penso ai tossicodipendenti che vanno in Africa orientale presso il culto Bwiti dove si usa l’iboga, affermata quasi alla pari con l’Ayahuasca per liberarsi dalla dipendenza da oppiacei, oppure chi va alle chiese nord americane dove si usa il peyote, o in centro e sudamerica dove si opera con funghi, cactus San Pedro… C’è questo flusso di occidentali che vanno a fare questo questa sorta di turismo spirituale, mistico, psichedelico, terapeutico, e vanno lì perché sono spesso insoddisfatti delle risposte della psichiatria e della medicina. La psichiatria fa terapie che cronicizzano, si prolungano per decenni, sia per patologie oncologiche che per patologie del mio specifico, depressioni, psicosi. Per decenni tu ingoi farmaci e resti lì.

La differenza tra psicofarmaci psichedelici..
È abbastanza semplice. La psichiatria da quando ha scoperto negli anni 50 del secolo scorso le molecole, i farmaci, ne ha individuati di vario tipo. Hanno vinto la partita gli psicofarmaci, che restringono lo stato di coscienza, la crepuscolarizzano, ingessano tutte le funzioni psichiche, per cui persone che in qualche modo si sono espanse da sole per motivi endogeni, quelli che noi chiamiamo psicotici, probabilmente sono quelli che vanno incontro a uno stato psichedelico prolungato, autoindotto. Gli psichiatri, non comprendendo che cos’è quella cosa che chiamano psicosi, son riusciti con certe molecole a restringere il loro campo di coscienza.

Quell’altro tipo di molecole negli anni 60 persero la partita perché erano molecole che facevano l’esatto opposto, espandevano lo stato di coscienza. Ma questa espansione di coscienza, che vuol dire espansione di conoscenza, di gnosi, era poco gestibile dagli psichiatri, dai medici, dal potere stesso. Per cui a un certo punto, quando esorbitano le sostanze dagli studi di psicoterapia o dagli ospedali e diventano appannaggio degli hippy, della controcultura, con Timothy Leary che dice «turn on, tune in, drop out» cioè accenditi, sintonizzati e fuggi via dalla vita borghese, lo Stato, in quel caso gli Stati Uniti d’America si spaventano e mettono fuorilegge tutte queste molecole, che diventano da allora criminalizzate e demonizzate. Da allora c’è stato, proprio a livello universitario, un vero e proprio lavaggio del cervello. Tutti i medici o psichiatri che da quel momento in poi si sono formati, hanno alimentato una psichedelofobia. Si diceva quelle molecole bruciano il cervello, e io ho aderito a questa narrazione, fino a pochi anni fa pensavo che bruciassero il cervello. Ora nuove ricerche psichedeliche in corso in università d’America o del Regno Unito ci dicono che fanno il contrario, creano sinapsi, riconnettono, sono neuroplastiche.

C’è un articolo del 2014 di Robin Carhart-Harris, dell’Imperial College, dove dice che gli psichedelici per alcune ore ti entropizzano la psiche, fatto verificato con la tecnica di brain imaging, e riportano in qualche misura a un cervello primitivo, al cervello del bambino. Ci sono tanti stili cognitivi, quelli ad alta entropia, quelli del bambino che ha un pensiero magico, quelli dello psicotico, del creativo, del divergente, stili cognitivi ad alta entropia. Poi ci sono stili cognitivi a bassa entropia, molto rigidi, che guarda caso sono quelli che danno luogo a certe sofferenze, depressi, ossessivi, ipocondriaci, disturbi post-traumatici da stress tutti quelli che in un loop pensano sempre non valgo niente, morirò.

È possibile per uno psichiatra usare una terapia psichedelica senza aver mai sperimentata psichedelici in prima persona?
Certo che no. È una critica che riguarda anche il «rinascimento psichedelico» e quello che potrebbe accadere nei prossimi anni, quando e se queste molecole verranno sdoganate e diventeranno farmaci. I 200.000 psichiatri del pianeta non sono pronti per queste terapie. Finora cosa hanno fatto? Cosa abbiamo fatto? Abbiamo dato farmaci che su noi stessi non abbiamo mai provato, salvo qualche eccezione. E questo si può fare perché sono molecole che dai per attenuare certi sintomi. Se però dai medicine per espandere la coscienza e per portare certe persone in altri mondi, in altri luoghi, in altre mappe, in altre cartografie psichiche, come fai tu psichiatra a dare una di queste terapie che portano in luoghi dove tu non sei mai andato? Ci saranno molti problemi quando questo accadrà. Se l’esperienza è buona tutto bene, ma se l’esperienza non è buona, un bel trip di panico, lo psichiatra non iniziato che farà? Come ho visto richiudono tutto con fiale di Tavor o altri antipsicotici, una pratica veramente poco etica e ridicola.

Ma cos’è veramente l’ayahuasca?…
Quello che piace alla scienza è trattare con un solo principio attivo, so qual è e so qual è il dosaggio. Quando dico che l’ayahuasca non potrà mai essere afferrata dalla scienza è perché la possiamo definire un contenitore farmacologico multiuso, dentro ci può essere di tutto. Non c’è una sola ayahuasca. A discrezione dell’ayahuaschero, questo alchimista della selva che la cucina, ci possono essere aggiunte un centinaio di piante, oltre a quelle due più note: la liana, la Banisteriopsis caapi che è l’elemento centrale, e la Psychotria viridis, ricca di Dmt, la molecola responsabile delle visioni.

Oltre a queste ci si può mettere un po’ di coca, di tabacco amazzonico, di datura o altro per cui, a seconda di quello che si vuole ottenere o lo scopo della cura la ricetta può cambiare di volta in volta. Se la scienza la vorrà studiare che può studiare? A meno che non faccia una farmahuasca, un qualcosa che rassomiglia ma non potrà mai essere come l’originale. È un po’ come quando dal fungo si estrae la psilocibina e dici beh è la stessa cosa, no, il fungo ha tantissimi alcaloidi, quello centrale è la psilocibina ma non c’è un fungo uguale all’altro.

Molti nativi utilizzano un ayahuasca non visionaria, cioè composta di sola liana, che non dà visioni ma intuizioni, informazioni, ed è responsabile della cosiddetta purga, del vomito che tanto inquieta gli occidentali ma che sembra l’elemento centrale per espellere le parti patologiche. Noi occidentali, legati quasi da cinefili alle visioni, se non ci sono le visioni è come se il messaggio non arrivi, e gli sciamani, sapendolo, rinforzano l’elemento visionario.

L’ayahuasca può essere pericolosa?
I media in generale sono di una superficialità sconcertante. Da una decina d’anni ci sono i mezzi, gli strumenti per informarsi, ma fintanto che è criminalizzata in tabella uno non si può fare altro che dire, dal punto di vista mio, di un medico, che farmaco e droga sono condizioni figlie di un tempo storico. In questo momento ayahuasca è droga, e molti psicofarmaci sono farmaci. Può essere che tra vent’anni la cosa si ribalti? Può essere perché abbiamo osservato che gli attuali psicofarmaci hanno avuto 70 anni per mettersi alla prova e hanno dimostrato che non curano e non sono risolutivi, molto spesso sono iatrogeni, producono altre patologie e cronicità.

Questo è il motivo per cui ci sono cerimonie clandestine. Però nel momento in cui fai cerimonie clandestine, quella cosa è illegale e ci sono tutti i rischi connessi che sono l’epifenomeno della proibizione. C’è una enfasi giusta su set e setting: set è come ti senti, devi essere pronto, tranquillo, aperto e fiducioso per fare queste esperienze che sono esperienze limite. E il setting, cioè l’ambiente, deve essere altrettanto accogliente. E il cerimoniere, il terapeuta, sciamano o curandero deve essere una persona sicura di fare quello che fa. Condizioni avverse influenzano l’esperienza, come quando negli anni 50 somministravano queste molecole nei manicomi. Diceva Timothy Leary questi poveri internati erano sottoposti a uno stupro psichico, gli davano LSD senza neanche avvertirli, e questi per due giorni, già con la testa per aria, non ci capivano più niente.

Lo sciamano….

Dagli sciamani potenti i terapeuti occidentali dovrebbero solo apprendere. Ma siccome non c’è un albo dello sciamano, trovi quello affidabile e quello che magari arriva dalla Colombia e lì faceva il tassista. Prima di andare a una cerimonia sarebbe bene informarsi, ma non è facile. Chi fa un’operazione di ricerca, prova e troverà quelli bravi e quelli meno bravi. Il problema è chi lo fa per motivi di cura, perché per una persona che già è fragile, e quindi non in grado di sopportare un setting pessimo, una cerimonia maldestra, è rischioso. L’esperienza può essere particolarmente brutta e devi avere in quel caso il facilitatore e i suoi aiutanti bravi a gestire l’emergenza, a fare una contenzione umana, relazionale, psichica, far passare quelle ore e riportarti di qua. Non deve accadere che una persona fugga, se ne vada e non sai dove è andata a finire.

Le visioni che cosa sono, sono allucinazioni, un fatto che riguarda solo chi le ha o hanno una realtà esterna?
Bella domanda. Dipende dai punti di vista. Le puoi considerare allucinazioni, e dici vabbè è il mio cervello drogato che le produce. Oppure puoi considerare che grazie a questi strumenti vai in altri ambiti, in altri mondi che sono stati definiti in vario modo. Jung lo chiamava inconscio collettivo. Una ipotesi interessante è quella di Jeremy Narby: con queste molecole tu attingi a una parte del DNA che i genetisti non sanno bene cosa sia, la chiamano DNA spazzatura. Costituisce il il 98% del Dna e forse lì è nascosto tutto, tutta la memoria, non solo personale ma universale, e lo sciamano è in grado di accedere a questo spazio e vedere il passato, il presente, il futuro, i mondi… e anche l’iniziato, colui che fa questa esperienza, nel suo piccolo comincia a dare un’occhiata.

Tu sei stato diciamo un seguace di Basaglia…
Mi son definito basagliano e mi definisco ancora, ha fatto l’unica rivoluzione accaduta in psichiatria, togliere di mezzo i manicomi. Penso però che sia il momento di andare un po’ oltre Basaglia, perché ora ci sono altri manicomi, più piccoli, sempre concentrazionari ma più piccoli, caravanserragli disseminati nel territorio. E poi ci sono manicomi più invisibili che ho definito manicomio chimico e manicomio diagnostico.

Questi farmaci che assumi per tutta la vita sono un manicomio chimico, così come un’etichetta diagnostica che ti appiccicano addosso e non te la tolgono più è un manicomio diagnostico. La psichedelia dovrebbe sostituirsi alla psichiatria, ma è cosa illusoria che non accadrà, perché il capitale farà sì che la psichiatria ingloberà la psichedelia, la ridimensionerà e creerà una sorta di «manicomio psichedelico». Le avvisaglie già ci sono tutte. Il rischio è che le terapie psichedeliche in mano agli psichiatri odierni diventino una delle tante offerte terapeutiche, ma molto depotenziate. Questo è uno dei rischi, poi ce ne sono altri, farne un uso performativo, il microdosing che già tutti i genietti in giro, i futuri Mark Zuckerberg o Elon Musk usano per performare di più. Hanno un effetto anfetamina. L’uso psichedelico significa per alcune ore rompere l’ego e fondersi un po’ con tutto il resto. Atman diventa Brahman. Il microdosing rinforza l’ego, è l’effetto cocaina, quello che fregò Freud.

La jurema?
È un analogo dell’ayahuasca. In posti dove non si trovano piante con cui fare l’ayahuasca si crea un analogo dell’ayahuasca con altre piante. Basta mettere insieme una pianta con DMT, che di solito è la Mimosa hostilis, e in ambito mediterraneo dove non c’è la liana ci mettono accanto la ruta siriana, che Dioscoride chiamava Moly e che Hermes avrebbe dato a Ulisse per resistere all’incantesimo di Circe. Ulisse va da Circe e non viene trasformato in porco perché ci va in stato sciamanico.

Il tuo lavoro quotidiano….
Lavoro in un reparto ospedaliero di Diagnosi e Cura in Spdc. Da ormai molti anni lavoro dove si ricoverano le persone affette dalle patologie psichiche più gravi, dove si fanno anche i trattamenti obbligatori, i manicomi non ci sono più e quindi le acuzie psichiatriche si fanno in Spdc. Stanno dentro agli ospedali, sono più di 300 in Italia e in uno di questi lavoro io, ancora per poco perché a settembre finalmente lascio il manicomio e me ne vado al SerD, il servizio tossicodipendenze, quello che un tempo si chiamava Sert. Lì vengono i tossicodipendenti e tu dai terapie, non solo metadone, in realtà spero di togliere il metadone…

Riesci a conciliare il tuo lavoro con le tue idee…
Con fatica, sono una sorta di infiltrato nella psichiatria. Per molti anni ho provato a cambiare un po’ le cose, non riuscendovi me ne vado. Nel Sert sarà più o meno la stessa cosa però quantomeno starò fuori. Il SerD è un ambulatorio non è un reparto ospedaliero dove siamo tutti internati. Negli Spdc trascorri il grosso della tua vita in un posto chiuso dove si legano le persone e dove si sedano generosamente. Diciamo che nonostante i tentativi fatti all’interno, non si riesce a scalfire questa prassi. E siccome non sono più gli anni 70 di Basaglia, in cui tutto era un po più possibile, ora sono anni tristi per questi ricoverati.

C’è una cura a portata di mano, quella psichedelica, che non viene presa in considerazione…
Non è contemplata, forse lo sarà tra dieci quindici anni. In questo libro ho fatto il sogno dell’ospedale psichedelico, mi sono divertito a immaginare questa cosa. Se tutta la forza che ha il sistema sanitario nazionale per gestire questi reparti, dove si rinchiudono le persone per imbottirle di psicofarmaci e tenerle buone, se tutta questa forza economica e di risorse umane la si potesse applicare a queste altre medicine, al sicuro, in spazi protetti, questa sarebbe veramente una rivoluzione scientifica. Il problema è che non vogliamo cure, ma solo terapie che contengano i sintomi. Questa concezione dell’ ospedale dove tutta la sofferenza affluisce è assurda, per questo tipo di sofferenze le terapie bisognerebbe farle in posti nella natura, immaginarsi case nel bosco, con tutti i comfort, con tutto come dicono «a norma».

Nel 2010 David Hatch Hart dell’Imperial College fece una metanalisi sulla reale pericolosità di sostanze. La più pericolosa era l’alcool, poi c’era l’eroina, la cocaina, la nicotina. Due di quelle non considerate droghe, alcol e nicotina, ammazzano quotidianamente gente. In pronto soccorso arrivano di continuo persone strafatte di alcool che hanno fatto incidenti o che hanno messo sotto qualcuno… Non succede nulla, poi capita un incidente del genere con uno psichedelico, che non deve succedere ovviamente, e tutti a strombazzare sulla droga allucinogena, col bicchiere di vino sotto mano o fumando una sigaretta.