Nel gennaio del 1982 una sentenza negli Stati Uniti decise di scorporare in sette società il potentissimo monopolio nelle telecomunicazioni dell’AT&T (American Telephone and Telegraph Incorporated). Le culture antitrust sono talvolta la faccia più decente del capitalismo e – insieme alle normative sul conflitto di interessi- attenuano la virulenza del mercato.

Non si può dire che quell’iniziativa abbia compromesso il sistema d’oltre oceano. Anzi. La concorrenza, se è regolata, è un utile motore di evoluzione. Se il potere finisce in pochissime mani, invece, lo stesso quadro tecnologico ne risente, per scelte spesso unicamente legate al successo finanziario. Senza verifiche e senza trasparenza.

Quarant’anni dopo giunge dal congresso di Washington un messaggio interessante. Dopo una lunga istruttoria ha preso il via il dibattito su progetti di legge volti a governare gli Over The Top. E, su un altro piano, non è un tabù parlare nelle sedi internazionali di tassazione, ancorché la prevista soglia del 15% sia ben al di sotto di ciò che paga un negozio di frutta e verdura.

Si tratta di primi timidi passi. Tuttavia, qualcosa si muove.

Gli oligarchi della rete (da Google, a Facebook, ad Amazon, a Microsoft, a Apple, a Twitter) sono ormai dei meta-stati. Per come sono configurati i loro algoritmi, proprietari e non negoziati, le antiche culture giuridiche occidentali stentano a trovare un approccio credibile e autorevole.

Torniamo agli States. Parliamo di uno dei cinque testi, quello di maggiore radicalità (H.R.3825). Il titolo. La fine del monopolio delle piattaforme: Ending Platform Monopolies Act. Costruito in nove sezioni, l’articolato ha un indirizzo chiaro.

La piattaforma non deve essere il veicolo per la diffusione dei prodotti che fanno capo alla proprietà. Il termine stesso di piattaforma riacquisisce la semantica originaria e il tema del conflitto di interessi ritorna in scena. Insomma, la proprietà va suddivisa e chi ha abnormi quantità di utenti (solo la società di Zuckerberg ne raccoglie due miliardi e ottocento milioni) non è un imperatore.

Vedremo se si riuscirà a cavarne un risultato positivo. L’aria, però, sembra proprio cambiata.

Numerosi stati degli Usa indagano sull’utilizzo improprio dei dati e sulle modalità di azione anticoncorrenziale delle Tech. Paradossalmente, per ragioni opposte, i democratici inclini alla regolamentazione e i repubblicani ostili agli Over The Top ostili con Trump si ritrovano insieme, Almeno per ora.

Il vento ha fatto il suo giro anche in Europa. Sono in fase ascendente due importanti normative – Digital Services Act e Digital Markets Act, oltre al buon testo sull’intelligenza artificiale-, che rompono l’incantesimo dell’irresponsabilità delle piattaforme e introducono principi rilevanti ispirati alla necessità di frenare il liberismo selvaggio e i connessi spiriti animali.

In un’ampia intervista rilasciata a Milano finanza nel numero dello scorso 5 giugno, la vicepresidente europea con delega al digitale Margrethe Vestager è esplicita su tali argomenti. La commissione europea dispone, ecco il punto, di strumenti legali per procedere al break-up (il cosiddetto spezzatino), ferma restando la priorità assegnata al varo dei citati regolamenti.

Sull’insieme dei problemi è apparso, invece, assai arretrato il recente vertice del G7, attardato sulla guerra santa alla Cina che, peraltro, andrebbe se mai coinvolta in un nuovo processo legislativo di carattere sovranazionale. Pure lì, del resto, ci sono supergruppi come Alibaba.

Non è dato sapere, poi, se le Nazioni unite usciranno dal loro lungo silenzio e si accontenteranno di mantenere in vita l’obsoleto IGF (Internet Governance Forum).

E l’Italia? A parte l’enfasi digitale del Piano di ripresa e resilienza (il pdf del PNRR qui), si intende imboccare la strada degli Stati uniti e dell’Europa o si perseguono quelle geopolitiche solo quando fa comodo?

Eppure, ci sarebbero opportunità irripetibili: la traduzione italiana delle direttive sul codice delle comunicazioni elettroniche e sui servizi media audiovisivi, giunta alla fase dei decreti attuativi.