Antonio Laudati si avvale della facoltà di non rispondere all’interrogatorio dei pm di Perugia sul caso dei presunti dossier e degli accessi illegali ai database investigativi. Allo stesso tempo, però, dimostrando di avere una certa dimestichezza nei rapporti con i mezzi d’informazione, prima ha fatto filtrare (su Repubblica) un corposo retroscena con la sua versione della storia, e poi ha mandato avanto il suo legale per ribadire la linea con un profluvio di dichiarazioni. Dice l’avvocato Andrea Castaldo che Laudati «è molto provato» dalla vicenda e che ha deciso di non presentarsi da Cantone «per evitare il clamore mediatico».

E ancora: «La linea difensiva è sempre la stessa: non c’è stata assolutamente attività di dossieraggio, non conosce né i giornalisti né gli altri indagati e soprattutto ha sempre agito come atti d’impulso investigativo nei limiti e secondo il protocollo della procura nazionale antimafia. Gli atti d’impulso sono sempre stati sottoposti al capo dell’ufficio». Insomma si tratta di una questione di metodo. «C’è un gruppo coordinato – ha proseguito Castaldo – che filtra le Sos e quando trova materiale tecnicamente interessante e foriero di sviluppi investigativi lo processa. Poi c’è una relazione finale che viene avallata dal capo dell’ufficio e trasmessa per competenza». Sullo sfondo, in maniera ormai neanche più implicita, c’è l’evocazione dei capi della Dna, sia Federico Cafiero de Raho sia Giovanni Melillo, che quantomeno non hanno mai avuto nulla a che ridire sul metodo Laudati. E che, anzi, come risulta dalle carte dell’inchiesta, in almeno tre occasioni hanno usato le informazioni raccolte dal finanziere Pasquale Striano e vagliate dallo stesso Laudati per inviare segnalazioni ad altre procure.

«IL PROCURATORE capo – ha spiegato Castaldo – conosce nel senso che è il momento terminale di una serie d’attività d’impulso che poi vengono trasmesse alle procure competenti». Comunque, e qui a parlare è Laudati in persona con una nota fatta arrivare a Cantone, «tutti gli accertamenti erano determinati da esigenze investigative, nell’esclusivo interesse dell’ufficio e riguardano persone da me non conosciute e rispetto alle quali non avevo alcun interesse personale né alcun intento di danneggiarle». Su Striano la presa c’è poi quasi una presa di distanza: «Non rientrava tra i miei compiti di sostituto procuratore quello di controllare il personale di polizia aggregato alla Dna, né quello di verificare gli accessi alla banca dati».