Tutti i giovedì alle 15.30 dai tempi della dittatura militare, le Madri e le Nonne di Plaza de Mayo girano intorno alla Pirámide de Mayo. A cento metri dalla Casa Rosada, il palazzo del governo dove Alberto Fernández sta trascorrendo i suoi ultimi giorni da presidente in attesa dell’arrivo di Javier Milei, previsto per il prossimo 10 dicembre. Attraverso quelle «ronde» intorno al monumento le Madri e le Nonne esprimono una pratica di lotta e memoria che dura nel tempo e al di là dei governi. Una persistenza che non ha eguali in Argentina.

Negli anni ’70 riuscirono a rendere visibile, prima con i pannolini di tela e poi con i fazzoletti bianchi in testa, che i loro figli e nipoti erano desaparecidos. Negli ’80 le Madri e le Nonne furono artefici del recupero della democrazia. Nei ’90 continuarono a girare in cerchio contro le leggi di Carlos Menem che perdonarono i militari. Nel 2001 furono picchiate brutalmente dalla polizia durante le rivolte di dicembre, alle quali ovviamente parteciparono.

Dopo i governi kirchneristi, durante i quali sono state istituzionalizzate molte delle loro proposte, è arrivato il tempo di Mauricio Macri che ha rifiutato le Madri e le Nonne definendo la loro lotta un «business». Ma il nemico definitivo, mentre in tante hanno ormai raggiunto o superato i 90 anni, sembra il prossimo inquilino della Casa Rosada: Javier Milei rivendica apertamente la dittatura, nega la cifra dei 30mila desaparecidos e tratta il movimento dei diritti umani con frasi polemiche che sembravano cancellate dal lessico dell’Argentina.

Il presidente eletto, neoliberale e di ultradestra, sarà accompagnato dalla vice Victoria Villaruel, una donna che ha dedicato la vita alle organizzazioni che rivendicano i militari e sostengono che in Argentina non ci fu una dittatura ma una «guerra» tra lo Stato e i guerriglieri. Nonostante le numerose sentenze che hanno condannato per crimini contro l’umanità centinaia di militari, tra i quali la giunta guidata da Jorge Videla, e che hanno dimostrato la pianificazione sistematica della morte e della sparizione delle persone, quelli come Villaruel hanno avuto l’unica missione di negare tutto questo.

Una delle Madri che in questi anni ha continuato non solo la lotta per «verità, memoria e giustizia», ma anche una critica a tutti i governi di turno, incluso il ciclo di Néstor e Cristina Kirchner, è Nora Cortiñas, probabilmente l’esatto opposto di Villaruel. A 93 anni, Nora continua ostinatamente a girare intorno alla Plaza de Mayo, come più di quattro decenni fa, anche se adesso deve farlo su una sedia a rotelle.

Quest’intervista al manifesto la rilascia nella «ronda» del primo giovedì dopo la vittoria di Milei e Villaruel. A differenza di altri momenti, in cui le Madri e le Nonne erano solite marciare da sole, questa volta centinaia di persone si avvicinano per sostenerle come simbolo e azione concreta contro quello che sta per arrivare. Tra i tamburi che rimbombano la voce di Nora risuona ogni volta più bassa, ma le sue parole sono sempre più forti.

È preoccupata dall’arrivo al potere di Milei?

Non mi sorprende. Non iniziamo a dare la colpa ai “Milei”. Le colpe sono passeggere. Lavoriamo piuttosto per sostenere queste bandiere come abbiamo sempre fatto. Adesso più che mai.

Perché non è sorpresa?

Perché l’Argentina è disfatta. Le famiglie che si impoverite con il governo di Alberto Fernández stanno soffrendo. L’Argentina ha perso sovranità, potere economico e quello che abbiamo di fronte sarà ancora peggiore: verranno per il litio, per il petrolio, per un sacco di risorse che abbiamo e di cui dovremmo prenderci cura. Prepariamoci a scendere in strada ogni giorno.

Lei ha 93 anni, più di 50 di lotta: come si fa a scendere in strada tutti i giorni?

Questi decenni mi hanno dimostrato che la storia la facciamo noi, non i presidenti. Uno come Milei viene eletto per affari, non per idee. Al contrario nostro. Perciò dobbiamo unirci, stare in contatto, fare riunioni, volerci, amarci. Per sopportare quest’epoca difficile. L’Argentina ha vissuto di tutto, ci sono stati personaggi terribili, lui è uno di loro. Ma possiamo. Possiamo.

Non fa paura il futuro prossimo?

Mi fa paura perché non basteranno 20 anni per rifare tutte le cose che distruggeranno, se rispetteranno quello che hanno promesso: privatizzazioni, apertura delle importazioni, indottrinamento nelle scuole… Bisogna parlare con i giovani, organizzare delle campagne per reagire.

La preoccupa che i giovani siano stati i principali elettori di Milei?

Bisogna discutere ovunque di quello che successe con il terrorismo di Stato, soprattutto con i ragazzi giovani. Perché ora molti di loro sembrano non conoscere quello che la dittatura fece a questo paese. Dobbiamo andare a cercarli, insegnare ancora. Perché si vede che tutto quello che abbiamo fatto finora, che è stato tanto, non è bastato. Milei ha vinto attraverso un voto democratico perché la gente sta male dal punto di vista economico, ma non possiamo dimenticare che rivendica la dittatura.

Come immagina le ronde del giovedì quando Milei avrà assunto i poteri?

Come sempre. Perché ogni giovedì è speciale: è un nuovo incontro con i nostri figli e le nostre figlie.