I due partiti «rossi», eredi della storia del movimento operaio, escono dalle urne in condizioni molto diverse fra loro. Per i socialdemocratici della Spd è il peggior risultato di sempre, un milione e mezzo di voti in uscita verso destra e sinistra, mentre la Linke guadagna lo 0,6% e può sorridere. Emblema della disfatta per il partito che fu di Willy Brandt è la caduta di ogni roccaforte: si classifica primo solo in un Land minuscolo, la città-stato di Brema (26,8%), mentre nella «Emilia Romagna» del Nordreno-Westfalia il 26% ottenuto è un’apocalisse. Martin Schulz e compagni tremano anche per il 27,4% della Bassa Sassonia, vasta regione occidentale con capitale Hannover: in sé è il migliore risultato del Paese, ma il 15 ottobre in quel Land si vota per il parlamento locale, e i numeri dicono che il governo uscente a guida Spd rischia seriamente di andare a casa. E in Germania gli esecutivi regionali contano molto.

Se si volge lo sguardo ad est, i dati sono sconvolgenti: in Sassonia un drammatico 10,5%, in Turingia il 13,2%, appena sopra il 15% in Sassonia-Anhalt e nel Meclemburgo di Angela Merkel. Nella ex Ddr i socialdemocratici sono ormai una forza medio-piccola, lontanissimi dalle dimensioni di una Volkspartei, quel partito popolare e di massa che in teoria dovrebbero essere. La scelta della nuova capogruppo al Bundestag indica ora una nuova direzione di marcia: via il moderato Thomas Oppermann, tocca ad Andrea Nahles, ministra uscente del lavoro, e soprattutto figura più in vista della sinistra del partito. C’è quindi da aspettarsi che, almeno nelle intenzioni, la Spd voglia sul serio fare opposizione, recuperando i consensi dei suoi bacini tradizionali e magari cominciando a costruire finalmente un’intesa con la Linke anche a livello federale e non solo di singoli Länder (i due partiti amministrano in coalizione Berlino e Turingia).

Schulz resta segretario, a fine anno il congresso per un eventuale cambio al vertice: nessuno, per ora, ha chiesto la testa dell’ex presidente dell’Europarlamento.

Nell’attesa che la Spd torni davvero socialdemocratica, la Sinistra guidata in queste elezioni da Sahra Wagnknecht e Dietmar Bartsch si gode alcune affermazioni nella Germania orientale che ne confermano il tradizionale ruolo: è primo partito in tutta la parte Est di Berlino, compresi quartieri ad alto disagio sociale come Marzahn (26%) e Lichtenberg (29%). Nella ex Ddr è da registrare, però, un complessivo arretramento a vantaggio della AfD. Il vero dato positivo per la Linke è dunque un altro: le urne di domenica dicono che ad ovest il «pericolo comunista» non spaventa più.

A Brema è terza forza (13,5%), in Assia, Amburgo e Bassa Sassonia raccoglie quasi gli stessi consensi dei Verdi. Che però sono riusciti a vincere nel collegio più a sinistra di tutta la Repubblica federale, quello di Kreuzberg-Friedrichshain, cuore della Berlino alternativa (dove la somma di Cdu, AfD e liberali dà solo il 21%): nel combattuto derby per aggiudicarsi la rappresentanza dell’enclave rivoluzionaria del Paese l’ha spuntata la candidata ecologista di origine curda Canan Bayram, che ha già annunciato che non voterà mai un nuovo governo Merkel, nemmeno se sostenuto dal suo partito. Legittima soddisfazione, dunque, nelle file del partito più a sinistra di Germania, ma anche accenni di riflessione autocritica: «Il risultato nell’Est mostra che abbiamo sottovalutato le paure generate dalla questione dei profughi», ha affermato Wagenknecht, anima più ortodossa del partito, che non ha mai fatto mistero di essere su una linea diversa da quella più movimentista e «no-borders» della segretaria Katja Kipping.