Di Moqtada al Sadr si parlò fuori dall’Iraq per la prima volta nell’aprile 2003. Gli americani avevano occupato il paese un mese prima e proclamavano di averlo fatto anche «per salvare gli sciiti oppressi da Saddam Hussein». Di sciismo e di relazioni tra sciiti e sunniti in realtà al Pentagono, per non parlare della Casa bianca, non capivano nulla e ancor meno ci capiranno negli anni successivi.

Fatto sta che le truppe Usa intervennero per portare soccorso nella città santa di Najaf – il luogo più venerato dagli sciiti con Karbala – al grande ayatollah Ali al Sistani minacciato dal Jimaat Al-Sadr-Thani, formazione guidata da un giovane leader religioso, Moqtada al Sadr, a quel tempo 29enne, affiancata da una milizia di migliaia di uomini, l’Esercito del Mahdi.

I COMANDI USA commisero un clamoroso passo falso emettendo un mandato di arresto nei confronti di Al Sadr per l’assassinio del 2003 del leader sciita moderato Abdul Majid al Khoei. L’accusa americana contribuì a far brillare la stella di colui che sarebbe emerso nei successivi venti anni come il protagonista principale della politica e della militanza armata in Iraq.

L’impareggiabile e lunga influenza, tuttavia, non ha permesso ad Al Sadr la scorsa estate di mettere fine, a beneficio del suo blocco, allo stallo politico iracheno tanto da finire travolto dalla sommossa che egli stesso ha sollevato a Baghdad e in altre città contro i rivali sciiti e altri nemici. Seppur figlio del venerato grande Ayatollah Mohammed Sadeq al-Sadr, assassinato nel 1999 dopo aver criticato pubblicamente Saddam, Moqtada al Sadr ha saputo costruire il suo personaggio in modo autonomo.

Anche scegliendo di non fuggire dal paese, incurante del fatto che l’Esercito del Mahdi fosse considerato «la più grande minaccia alla sicurezza dell’Iraq». L’esercito e l’intelligence Usa lo avrebbe eliminato volentieri: i combattenti del Mahdi pur usando solo fucili e vecchi lanciarazzi hanno causato perdite enormi alle truppe americane nei vicoli di Baghdad e delle città del sud.

A sconfiggere militarmente Al Sadr è stato un altro sciita, l’ex premier Nouri Al Maliki, che nel 2008 ordinò alle riorganizzate forze armate irachene un’offensiva contro l’Esercito del Mahdi a Bassora. Al Sadr fu costretto a trasformare la sua milizia in una «organizzazione sociale»: le Brigate della Pace. Da allora la rivalità tra Al Maliki e Al Sadr è rimasta intatta. Quella sconfitta militare per il giovane leader sciita si trasformò in un rapido successo in politica.

Ha visto nel corso degli anni la sua popolarità salire alle stelle promettendo di eliminare la corruzione e, più di recente, appoggiando i raduni di centinaia di migliaia di iracheni contro la paralisi politica, la mancanza di lavoro e servizi pubblici e l’influenza dell’Iran sul paese.

CON UN MESSAGGIO populista e nazionalista, l’autoproclamato campione dei diseredati iracheni ha mobilitato vaste folle. Già nel 2016, i suoi sostenitori presero d’assalto il parlamento per la mancata riforma del sistema elettorale. Poi la formazione di un’alleanza con comunisti e laici, determinante nel 2021 quando la lista sadrista stravinse le elezioni (73 dei 329 seggi del parlamento).

Il duro colpo elettorale inferto ai gruppi sciiti filoiraniani non è però bastato a dargli la forza per realizzare la «rivoluzione» di cui parla da anni. Considerarlo fuori gioco però sarebbe un grave errore. Potente oratore, Al Sadr riesce sempre a infiammare le folle con un discorso politico semplice, costellato da riferimenti religiosi. Il suo rientro in scena è solo questione di tempo.