L’allieva contro il maestro. La renziana di ferro contro il nemico numero uno dell’ex rottamatore, perlomeno a sinistra. Nel cuore del Salento, nel collegio uninominale Puglia 6 del Senato, non potevano passare inosservati Teresa Bellanova e Massimo D’Alema. Faccia a faccia, senza esclusioni di colpi.

Lei è stata tra i sottosegretari più forti dei governi Renzi e Gentiloni. Da viceministro allo sviluppo economico gestito personalmente le vertenze aziendali più delicate, a cominciare dall’Ilva di Taranto. Un ruolo centrale in cui ha potuto sfoderare l’aspetto sindacalista che contraddistingue la sua formazione. Lui, invece, è rimasto alla finestra per molto tempo. Tra un sorriso sotto i baffi dopo una assemblea del partito e una riunione tra i fedelissimi, ha tentato fino all’ultimo di resistere nel partito che era oramai diventato di Renzi. Già nel 2016 fu chiaro che per lui il tempo del Pd fosse passato, quando ruppe gli indugi schierandosi per il no al referendum istituzionale, in palese contrapposizione con il suo segretario.

Due anni dopo per D’Alema il Pd che ha contribuito a fondare da protagonista è il passato. «Avevo fatto un passo indietro per lasciare spazio ai giovani ma visto che i risultati dei giovani sono questi…», ha affermato per motivare il suo ritorno in prima linea pur sottolineando più volte, però, che il leader non è lui ma è Pietro Grasso.  Una precisazione difficile da accettare per chi è abituato a vederlo nel ruolo di gran manovratore delle evoluzioni della sinistra italiana.

Per Teresa Bellanova, invece, il Pd è il fortino da salvare a tutti i costi. In pochi come lei hanno difeso a spada tratta ogni decisione di Matteo Renzi. Sono lontanissimi i tempi in cui fece il salto, insieme a tanti altri, dalla Cgil alla politica trovando una sponda nei Democratici di Sinistra sotto la regia, guarda un po’, di Massimo D’Alema. Erano i primi anni 2000.

Nel tacco d’Italia il passato, però, nelle ultime settimane è sembrato non contare più. La storia comune ha lasciato spazio alla parola «traditore/traditrice», la più usata da entrambe le parti. Qualcuno, imbarazzato, ha provato a smarcarsi. È il caso di Sergio Blasi, candidato nell’uninominale della Camera per il Pd nel collegio di Nardò e il più suffragato alle ultime regionali: «Contro di lui non mi metto», ha dichiarato riferendosi all’esponente di LeU, «ha fatto molto per me in passato».

E sono molti nel Salento a dover dire grazie a D’Alema. Non è un caso che da lì sia partita la campagna elettorale di Prodi nel ’96. L’ex segretario dei Ds ha sempre raccolto un consenso trasversale nella sua terra che ha provato a risvegliare in questi giorni colpendo i nervi scoperti nel Salento dei governi Renzi-Gentiloni. A cominciare dalla Tap. «Porteremo in parlamento la proposta di interruzione dei lavori», ha affermato. È stato tra i candidati che hanno sottoscritto il patto contro la realizzazione del gasdotto. Una iniziativa che non poteva non suscitare la reazione di Teresa Bellanova che sulla Tap ha sempre fatto scudo alle scelte governative: «La sua è demagogia. Lo definì un tubicino di nessun rilievo. Ora, invece, dice il contrario per racimolare qualche voto».

Quella tra Teresa Bellanova e Massimo D’Alema è stata un sfida tra le più emblematiche di questa tornata elettorale. Di sicuro è stata quella che ha fotografato meglio il momento complicato della sinistra italiana. Perché a scontrarsi non sono stati solo due politici con un pezzo di storia in comune ma due idee di di centrosinistra mai come oggi distanti tra loro.

C’è un ultimo aspetto, però, che per completezza non può essere trascurato: entrambi non hanno avuto il coraggio di candidarsi esclusivamente per l’uninominale, attenuando di conseguenza la portata di questo faccia a faccia. Massimo D’Alema era candidato anche al proporzionale al Senato nel collegio Taranto-Brindisi-Lecce come capolista mentre Teresa Bellanova lo era nella blindatissima Emilia. Perché la resa dei conti la volevano entrambi, soprattutto D’Alema.  Ma se c’è una seconda chance…