Camerunese e Direttore dell’Istituto per le risorse naturali dell’Università delle Nazioni Unite, con sede ad Accra, in Ghana. Elias Ayuk ha alle spalle più di vent’anni passati ad analizzare la gestione delle risorse naturali, la sicurezza alimentare e la riduzione della povertà nell’Africa subsahariana. È un conoscitore della complessa realtà regionale africana, ha vissuto in Senegal, Zimbabwe, Mali, Burkina Faso e Togo. Si è occupato di resilienza ai cambiamenti climatici, di tassazione del settore minerario e di agricoltura.

Lo abbiamo incontrato al margine della conferenza «Crescita sostenibile e lavoro dignitoso entro i planetary boundaries dell’Africa» organizzata da Fondazione Giangiacomo Feltrinelli e Fondazione Eni Enrico Mattei, nell’ambito del ciclo di incontri «L’Africa che cresce. Andata e ritorno». È stato invitato a parlare del rapporto tra governance e ambiente, di come spingere le imprese a rispettare le comunità e i territori. Abbiamo colto l’occasione per chiedere ad Elias Ayuk di raccontarci le sfide e le prospettive di una delle aree del mondo più in crescita: il continente africano e in particolare l’Africa subsahariana.

L’Istituto per le risorse naturali in Africa studia l’impatto dei cambiamenti climatici, la gestione delle risorse e la sicurezza alimentare. Quali sono le maggiori sfide che i paesi dell’Africa subsahariana stanno affrontando?

La sfida maggiore è il rapido degradarsi delle risorse naturali. Nella regione subsahariana le risorse naturali garantiscono il 25% del Pil pro capite, nei paesi dell’Ocse, invece, si fermano al 2%. Se queste ricchezze dovessero scomparire, sarebbe la fine. Il cambiamento climatico sta accelerando questo processo: i suoli si stanno degradando, la terra perde fertilità, si diffondono siccità e inondazioni. La situazione è critica. Il continente potrà sopravvivere solo proteggendo le sue risorse naturali. Si tratta del continente più ricco ma deve imparare a gestire questa ricchezza con maggiore attenzione.

Fino ad ora il modello prevalente è stato lo sfruttamento, l’estrazione senza freno delle risorse. Com’è possibile cambiarlo?

Come indicano i nuovi obiettivi di sviluppo sostenibile anche il settore minerario può contribuire al cambiamento. Deve però modificare radicalmente la gestione delle risorse. Deve tenere in considerazione i bisogni della popolazione locale e deve prevedere un effettivo guadagno per lo stato, che dovrà poi utilizzare i proventi ottenuti dal settore. La domanda da porsi è: come il settore minerario può contribuire effettivamente allo sviluppo dell’area? Molte compagnie non pagano le tasse, e se le pagano i loro contributi non raggiungono i livelli dovuti. Quindi l’importante per i paesi dell’Africa subsahariana è ottenere profitto dal settore minerario e saper diversificare l’economia. I governi devono imparare a gestire meglio le risorse, anche sostenuti dalla comunità internazionale, e devono coinvolgere le popolazioni locali.

Bisogna obbligare le compagnie aa essere responsabili.

Purtroppo la responsabilità sociale d’impresa nel settore minerario non viene applicata seriamente, come dovrebbe essere. Dobbiamo assicurarci che le multinazionali investano nei territori e garantiscano ricadute favorevoli al benessere della popolazione. Ogni settore della società, dal governo alle imprese fino ai cittadini, deve essere consapevole dell’importanza delle risorse, in particolare se si tratta del settore estrattivo: miniere, petrolio e gas.

Quando si parla di risorse non si può dimenticare la terra. In molti paesi dell’Africa subsahariana i governi spingono per la produzione di monocolture. Come è accaduto in Senegal con le arachidi, le monocolture hanno contribuito alla perdita di fertilità dei suoli. Qual è la strada da seguire?

L’agricoltura deve cambiare. Ho vissuto per otto anni in Senegal e conosco la questione. Alla base di tutto ci deve essere diversificazione. Non si può continuare a produrre solo arachidi come in Senegal, non si può produrre solo cotone. Bisogna diversificare e tenere conto del cambiamento climatico. Nell’istituto dove lavoro abbiamo pubblicato ricerche che dimostrano come, a causa del cambiamento climatico, alcuni prodotti non potranno più crescere in determinate zone del continente. Bisogna cominciare a pensare a quali prodotti alternativi esistano. L’agricoltura è al centro delle priorità della Banca Africana per lo Sviluppo perché se non si è in grado di dare da mangiare alle persone, non sarà possibile sviluppare alcuna industrializzazione. E l’industrializzazione africana deve basarsi sulle risorse e sull’aggiunta di valore al prodotto, prima della vendita. Deve essere implementata l’intera filiera dei prodotti.

Su che tipo di agricoltura puntare?

Sta acquisendo valore l’agricoltura biologica. In Uganda i contadini stanno guadagnando molto di più coltivando prodotti biologici. L’agricoltura deve essere presa seriamente in considerazione. Per questo motivo c’è bisogno di rivedere i diritti di proprietà. Quando coloro che utilizzano la terra non hanno diritti su di essa, non investiranno. È un settore, quello agricolo, che ha un alto potenziale anche per la creazione di posti di lavoro. I governi, però, devono rafforzare le loro politiche per far fronte al pericolo delle grandi acquisizioni di terra, del land grabbing.

In Africa subsahariana esistono conoscenze che mescolano antiche tradizioni e innovazioni. In che modo possono aiutare i contadini ad affrontare le sfide del cambiamento climatico?

Oggi c’è una forte spinta a utilizzare le organizzazioni contadine locali per garantire la diffusione di informazioni e per favorire l’aiuto reciproco. Ai contadini deve essere assicurata una buona qualità delle sementi, che spesso hanno fallito, soprattutto a causa del cambiamento climatico. Sarà necessario individuare le varietà di sementi più resistenti alla siccità. Anche in questo caso si tratta di puntare sulle politiche corrette. Politiche che favoriscano il riavvicinamento dei giovani al settore, altrimenti preferiranno vivere nelle città.

Elias Ayuk, prima di salutarci, sottolinea quali sono, secondo lui, i sei pilastri che garantiranno la trasformazione del settore agricolo e del continente stesso.

Le ho chiamate le sei I: la prima sono le Idee. Poi vengono gli Incentivi, correlati alle idee. Se le persone ricevono i giusti incentivi svilupperanno nuove idee, e al contempo, se esistono idee possono portare a incentivi. Combinando questi due elementi si ottiene la terza I: Innovazioni. In questo caso intendiamo per innovazioni quelle che coinvolgono il clima, la resilienza, l’agricoltura. La quarta è Istituzioni, la quinta Infrastrutture e infine l’ultima Implementazione. Se riuscissimo a raggiungere ciascuno di questi obiettivi e a generare una connessione tra loro avremo la possibilità di fare passi avanti nell’ambito agricolo, dell’energia e climatico.