Non è un caso che la Giornata internazionale per l’eliminazione delle discriminazioni razziali si celebri in una data segnata da un massacro di polizia. Il 21 marzo 1960 a Sharpeville erano agenti razzisti per statuto, quelli che uccisero 69 dimostranti inermi e ne ferirono 180.

Sollecitati dalla circostanza storica o – più probabile – ansiosi di occupare posti d’onore nell’inginocchiatoio globale, oggi ci sono tutti e 54 i paesi del continente africano dietro alla richiesta avanzata al Consiglio dell’Onu perché si discuta con «urgenza» il tema delle «violazioni dei diritti umani ispirate dal razzismo» e della «brutalità della polizia contro persone di origine africana».

Come se le violazioni dei diritti umani ispirate da altro – politica, affari, uomini “forti” al potere, divisioni etniche: la scelta qui è purtroppo ampia – non meritassero azioni altrettanto urgenti; e le moltitudini giornalmente brutalizzate da polizie e para-polizie – in Guinea, Camerun, Etiopia, Marocco… e pure nel Sudafrica post-Mandela – non fossero di origine altrettanto africana.