Ribellione, sedizione e malversazione di fondi pubblici. Il procuratore generale dello stato, José Manuel Maza, ha scagliato ieri tre fulmini sui generali indipendentisti che venerdì scorso hanno proclamato la Repubblica catalana, soffocata sul nascere dall’applicazione dell’articolo 155 da parte dell’esecutivo di Rajoy.

IL PRESIDENTE PUIGDEMONT, il suo vice Oriol Junqueras, la presidente della Camera catalana Forcadell e un folto gruppo di ministri della Generalitat rischiano ora – se, com’è praticamente certo, il Tribunale Costituzionale e l’Audiencia Nacional accoglieranno le ipotesi di reato formulate dalla procura – di essere travolti da una valanga di avvisi di garanzia. Ed, eventualmente, da pene severissime, fino a trent’anni, che potrebbero trasformare l’avventura separatista in una carneficina politica.

Nello scritto, il procuratore evidenzia l’assoluto «disprezzo alla Costituzione» e chiama a comparire gli insorti davanti al giudice «con urgenza».

Ammesso che Puigdemont e i suoi fedelissimi accettino di farsi giudicare dalla giustizia spagnola, il che sembrerebbe tutt’altro che scontato: da ieri, infatti, l’ex president si trova a Bruxelles insieme a cinque suoi ministri, dove è fuggito in cerca di asilo politico poche ore dopo le dichiarazioni del segretario di stato belga per l’asilo e la migrazione Theo Francken (del partito separatista fiammingo), dichiaratosi disposto a concedere protezione agli indipendenti catalani.

Un colpo di scena – l’ennesimo – che non è chiaro come possa risolversi: alla netta smentita del primo ministro belga, va aggiunta infatti l’impossibilità formale di avviare la richiesta, dato che la normativa comunitaria non contempla l’eventualità che un cittadino Ue chieda asilo politico presso un altro stato dell’Unione.

Secondo vari giuristi, tuttavia, la legislazione belga darebbe al president ribelle qualche appiglio legale che, quanto meno, potrebbe ritardare l’azione della giustizia spagnola.

Mentre Puigdemont attraversava i Pirenei per consacrarsi esule politico e organizzare la resistenza lontano dal caldissimo autunno barcellonese, Podemos cercava di organizzare le fila, scompigliate dalle pesanti divergenze tra il versante nazionale (anti indipendentista) e quello catalano, pronunciatosi a favore dell’indipendenza e contro la legittimità delle elezioni convocate da Rajoy per il prossimo 21 dicembre.

IGLESIAS È DOVUTO così correre ai ripari «scomunicando», domenica scorsa, la costola catalana dell’organizzazione (Podem), che rischia ora fuoriuscire dall’orbita del partito nazionale. «Se ci sono dei compagni politicamente più vicini alla Cup, che vadano con loro», ha dichiarato il segretario della formazione viola, additando la porta ad Albano Dante Fachin, segretario di Podem e leader della corrente indipendentista della sigla catalana della formazione viola.

STANDO COSÌ LE COSE, Podemos dovrebbe dunque presentarsi alla prossima tornata elettorale insieme al partito di Ada Colau, Catalunya en Comú, candidando Xavier Domènech a presidente della Generalitat; ma, a dimostrazione del fatto che la crisi catalana è stata per Podemos più una pietra d’inciampo che un’occasione di crescita, focolai di dissenso si sono verificati anche nel settore anticapitalista della formazione, che hanno riconosciuto la legittimità della Repubblica catalana in un comunicato, rinnegato però dai maggiori esponenti della stessa corrente (i leader andalusi Teresa Rodríguez e Kichi González).

Intanto l’ipotesi di elezioni mutile, che aveva preso corpo dopo la minaccia dei partiti indipendentisti di disertare le consultazioni di dicembre, sembra essere rientrata: Esquerra Republicana (Erc) e il PDeCAT, parteciperanno al voto: «Le urne sono sempre un’opportunità, anche se imposte da Rajoy – ha commentato Sergi Sabriá di Erc – Il governo non ha la facoltà di convocare queste elezioni, ma noi non aggrediamo i seggi come loro. Anzi, difendiamo il voto, perché Madrid non ci fa paura», ha proseguito.

Nessun commento, invece, dalla Cup, che ancora non ha chiarito se parteciperà o si manterrà al margine di una tornata elettorale che considera un atto di forza dell’esecutivo centrale.

Non vede l’ora di votare, invece, il popolo unionista che ieri ha sfilato numeroso per le strade di Barcellona, colorate dal rosso e dal giallo della rojigualda, la bandiera spagnola.

Il corteo convocato Socied Civil Catalana, ha percorso le strade della ciudad condal con in testa i leader di tutte le forze costituzionaliste, che hanno pronunciato discorsi molto duri contro la spaccatura sociale provocata dal secessionismo.

È SALITO SUL PALCO anche Francisco Frutos, ex segretario generale del PCE: se per essere anti indipendentista mi considerate un traditore – ha detto rivolgendosi idealmente ai secessionisti – allora «sono un traditore del dogmatismo settario e del razzismo identitario che state creando».