Il solo nominare la Parigi degli anni Sessanta porta a evocare alcuni tra i protagonisti della cultura europea, in particolare quella che si sistemò sotto l’insegna di quell’orientamento filosofico, antropologico, linguistico e psicoanalitico che venne chiamato strutturalismo. Una nuova generazione di studiosi ne avrebbe poi rivitalizzato l’influenza, e fra questi Foucault, Althusser, Derrida, Deleuze, Barthes,  studiosi attenti alla psicoanalisi, lettori di Freud prima e di Lacan poi, spesso critici e comunque sempre interessati alla possibilità di elaborare un pensiero che, pur basandosi sul determinismo delle strutture, tenesse conto dei soggetti umani.

Lacan, frequentatore assiduo dei seminari di Kojève, a sua volta tramite privilegiato degli studi hegeliani in Francia,  fu tra coloro che attinsero agli scritti di Foucault e al tempo stesso all’insegnamento di Althusser, tanto da contattarlo in un anno per lui cruciale, quel 1963 che gli inflisse, da parte dell’International Psychoanalytic Association, la revoca della funzione didattica, a seguito di un’inchiesta sulle strategie della sua pratica clinica. In particolare, come è noto, veniva contestato a Lacan il metodo per cui poteva stabilire di volta in volta una durata variabile delle sedute, invece di adottare i cinquanta minuti previsti all’epoca dall’ortodossia freudiana.

L’analista – sosteneva Lacan – può adoperare l’interruzione del colloquio a scopo interpretativo, decidendo quindi di chiudere la seduta, fosse anche dopo cinque minuti, in un momento significativo del discorso dell’analizzato. A quella che avrebbe definito la sua «scomunica» Lacan reagì uscendo definitivamente dall’International Psychoanalytical Association  e fondando, nel 1964, una sua scuola, l’École Freudienne de Paris.

La corrispondenza tra Lacan e Althusser fu, come sostiene Elisabeth Roudinesco, un dialogo singolare: mentre Althusser considerava Lacan un alleato intellettuale nelle sue ricerche sulla possibilità di conciliare il marxismo con una teoria del soggetto derivata dalla psicoanalisi, Lacan vedeva nel filosofo un tramite per  allargare il suo uditorio, ottenendo infine l’invito a tenere il suo seminario presso lÉcole Normale Supériore, in Rue d’Ulm, nel Quartiere Latino. Oltre all’appartenenza istituzionale cambiava dunque per Lacan anche il suo pubblico: non più solo o prevalentemente di psicoanalisti, era ora affollato di studenti di filosofia, docenti, intellettuali, curiosi, fino a raggiungere, alla fine degli anni Sessanta, un numero di circa seicento persone.

Davanti a una platea così vasta e eterogenea, ormai libero dai vincoli dell’istituzione psicoanalitica e maestro riconosciuto dell’eredità freudiana, Lacan ampliò ancora l’orizzonte del suo insegnamento: alle spalle, l’obiettivo – ribadito all’atto della costituzione dell’École Freudienne di rileggere l’opera del fondatore della psicoanalisi, preservando la teoria e la clinica dalle sue derive psicologizzanti, medicalizzanti o pedagogiche. Di fronte, una elaborazione teorica i cui riferimenti si sarebbero spinti oltre quelli abituali (filosofia, linguistica e antropologia strutturale) chiamando in causa logica, matematica e topologia.

Il ricorso alla logica, del resto, era già implicito nella celebre formula messa a punto negli anni Cinquanta, secondo cui «l’inconscio è strutturato come un linguaggio», ovvero:  lungi dall’essere  il dominio dell’irrazionale è invece un sistema in cui elementi discreti – i significanti – si combinano tra loro secondo leggi precise, rintracciate già da Freud nei suoi lavori sul sogno, il lapsus e il motto di spirito. Se l’inconscio è logico il suo funzionamento potrà essere trascritto in formule o in figure topologiche: nel seminario che tenne nell’anno accademico 1966-67, intitolato non a caso La logica del fantasma Libro XIV (ora tradotto per la prima volta, a cura di Antonio Di Ciaccia, Einaudi, pp. 380, € 28,00) Lacan convoca la teoria degli insiemi, l’algebra di Boole (in cui le variabili possono assumere i soli valori di «vero» o «falso»), il calcolo proposizionale, la teoria matematica dei gruppi di Felix Klein e le leggi di Augustus De Morgan per rendere conto, tra l’altro, di quella peculiare formazione dell’inconscio che è appunto il fantasma.

Freud lo riconosce nelle fantasie erotiche, nei ricordi infantili, sulla scena onirica e anche nella relazione di transfert che si crea nella stanza di analisi. Ora, secondo Lacan, a dispetto del suo carattere apparentemente immaginario, il fantasma si può ridurre a una formula grammaticale del tipo soggetto-predicato-complemento; vale a dire che la struttura logica su cui poggia e della quale si alimenta la messa in scena fantasmatica è trascrivibile nei termini di un rapporto tra il soggetto desiderante e l’oggetto del suo desiderio.

Lacan lo chiama «oggetto a», ma più che di un oggetto si tratta di un «operatore logico», il cui prototipo era già stato teorizzato da Freud in quelli che aveva chiamato oggetti parziali, collocati nei luoghi del corpo preposti agli scambi libidici con l’altro. Anzitutto, per il bambino, il seno, ma anche le feci, lo sguardo della madre, la voce, o anche, aggiunge Lacan, la costola di Adamo, esemplare di un oggetto estratto dal corpo e presentato, sotto le sembianze di un altro corpo, un corpo femminile, come ciò che al soggetto manca.

Il funzionamento del fantasma, sostegno del desiderio umano, è correlato da Lacan a un’altra celebre tesi del suo insegnamento – «non c’è atto sessuale» – sulla quale, proprio in questo seminario, comincia  a concentrarsi sempre più insistentemente, annunciandola come «il segreto della psicoanalisi». La formula si presta a una lettura diversa a seconda dei differenti livelli di complessità gradualmente elaborati da Lacan, che continuerà a lavorarci fino alla fine della sua opera. Per restare a un livello elementare, basti dire che, secondo la logica del fantasma, l’unico vero rapporto sessuale è quello tra il soggetto e l’oggetto a: si gode soltanto autoeroticamente,  e solo di un pezzo di corpo, mai di tutto il corpo dell’altro.

La questione è affrontata lungo tutta la seconda parte del Seminario XIV, in cui Lacan anticipa alcuni dei temi costitutivi dell’ultimo decennio del suo insegnamento: il diverso rapporto che uomini e donne intrattengono con il complesso di castrazione, l’incommensurabilità tra godimento maschile e femminile e il legame di quest’ultimo con la sublimazione.

Lacan torna anche, com’è sua abitudine, su altre nozioni fondamentali della psicoanalisi, riprendendole alla luce dei progressi della sua teorizzazione: la ripetizione, il passaggio all’atto, l’acting out, la clinica delle perversioni. E, ancora: rinnova la sua interpretazione del cogito cartesiano. Fondatore del soggetto della scienza e di una nuova strategia di relazione con il sapere che è stata indispensabile anche all’avvento della psicoanalisi, il cogito viene letto, elaborato e trasformato da Lacan, attraverso il ricorso a quanto sostenuto dal matematico tedesco Felix Klein, il quale riteneva che le proprietà essenziali di una data geometria sono rappresentate nel gruppo delle trasformazioni dalle invarianti di queste proprietà.

Lo psicanalista francese riprende questa teoria allo scopo di istituire un parallelismo con quello che, nella sua lettura, gli appare l’analogo freudiano del cogito: dov’era l’Es deve subentrare l’Io (Wo Es war, soll Ich verden). Quell’Ich – precisa ora Lacan – non va inteso qui come istanza egoica, come l’Io della seconda topica freudiana, secondo la classica tripartizione del sistema psichico in Io, Es, Super-Io, bensì come il soggetto implicato dall’Io penso dunque sono cartesiano. L’espressione freudiana non andrà dunque tradotta nei termini per cui l’Io deve sloggiare l’Es ma piuttosto con Là dove Es era, Io devo divenire. Non si tratta di «spodestare l’Es», ma di «trovare alloggio nella sua logica» che è – in fin dei conti – la logica del fantasma.

Da qui, una chiara indicazione per la cura psicoanalitica, il cui scopo non sarà quello di rafforzare l’Io – come già Lacan aveva chiarito nella sua critica alla cosiddetta Psicologia dell’Io – ma piuttosto «riconciliarsi con la pulsione», secondo una formulazione dell’erede intellettuale del verbo lacaniano, Jacques-Alain Miller. Si tratta quindi, mantenendo la metafora, di rendere il fantasma una dimora abitabile.