Loro lo mettono al bando, lui ballerà molto probabilmente da solo. Martedì, il National Executive Committte, l’organo dirigenziale del partito laburista, ha votato 22 a 12 la proibizione all’ex leader del partito Jeremy Corbyn – attualmente sospeso dal partito – di candidarsi nelle file del Labour alle prossime elezioni politiche, fra circa diciotto mesi.

La mozione – senza possibilità di appello – era stata presentata da Keir Starmer, l’attuale leader, e formulata in riferimento alla presenza di Corbyn come potenzialmente assai dannosa per le chance laburiste di vincere le suddette elezioni; e dunque, senza fare alcun riferimento alla ragione prima della sospensione di Corbyn: l’immondo antisemitismo di cui gronderebbero le fila della sinistra del partito.

Immediata la reazione del bandito all’esito dell’iniziativa del leguleio Sir Keir – ed ex ministro ombra dell’interno del già leader Corbyn – che ha definito la mossa un «vergognoso attacco alla democrazia del partito, ai suoi membri e alla giustizia. Non mi lascerò ridurre al silenzio. Ho passato la mia vita a lottare per una società più giusta per conto degli elettori di Islington North e non ho intenzione di fermarmi ora». Tutti la leggono come il lancio di una carriera solista, il presentarsi come indipendente. A quel punto l’espulsione sarebbe quasi certa.

Già, la londinese Islington North. Una delle roccaforti Labour più inviolabili, dove Corbyn ha vinto quasi i due terzi dei voti nel 2019, accumulando una maggioranza di oltre 26.000 sui liberaldemocratici staccati di n lunghezze. Un luogo dove il settantacinquenne ex leader è adorato e che rappresenta dal 1983. Alle ultime elezioni lo hanno votato in 34.603. Anche se in passato gli altri transfughi ex-Labour che hanno riprovato a presentarsi da indipendenti sono stati tutti triturati dalla macchina dirigenziale della balena rosa, Corbyn potrebbe dare seri fastidi a Starmer e alla sua normalizzazione post-blairiana. E non solo perché sarebbe sostituito da un nessuno.

L’unilateralismo di Starmer, che gioca molto sulla sua immagine di paladino dei diritti umani, potrebbe ritorcerglisi contro. La sua purga, se non staliniana, è stata definita putiniana (il che, ormai, è senz’altro peggio) da Jon Lansman, il leader e fondatore del gruppo di sinistra Momentum, che del disgraziato ex leader è alleato.

Lansman ha anche sottolineato quanto la pur solida batosta subita nel 2019 – in realtà causata molto più delle lagne dei centristi su un europeismo politicamente letale per chiunque nel clima di allora – non sia tanto peggiore di quelle di altri ex leader, nessuno dei quali analogamente purgato. Allora il partito prese un (32,2%) senz’altro meno catastrofico di quanto totalizzato del testé riesumato Ed Miliband nel 2015 (30,4%), di Gordon Brown nel 2010 (29%), per non parlare di quelle ancora precedenti di Kinnock e di Foot.

Corbyn è sospeso dall’ottobre 2020 per i suoi commenti sull’esito di un’inchiesta della Commissione per l’uguaglianza e i diritti umani (Ehrc) sull’antisemitismo nel Labour, che aveva denunciato «gravi mancanze» durante il suo mandato.