Si terrà il 29 gennaio 2024 a Budapest la prima udienza del processo contro Ilaria Salis, 39enne italiana detenuta dal 10 febbraio scorso nel penitenziario della capitale ungherese. Dove rischia di finire a breve anche Gabriele Marchesi: sulla sua testa pende un mandato d’arresto europeo emesso un mese fa dalle autorità magiare. Il 5 dicembre la corte di appello di Milano deciderà se dargli esecuzione. Il 23enne attende agli arresti domiciliari, dopo una notte a San Vittore tra il 21 e il 22 novembre.

I fatti di cui sono accusati i ragazzi risalgono alla vigilia del «Giorno dell’onore», in tedesco: Tag der Ehre. Ogni 11 febbraio neonazisti provenienti da tutta Europa lo celebrano a Budapest per ricordare il battaglione della Wehrmacht che tentò di rompere l’assedio della città ma fu annientato dall’Armata Rossa. Stavolta, però, oltre ai nostalgici di Hitler c’erano anche dei militanti antifascisti.

Sotto la lente degli inquirenti sono finiti due episodi: le aggressioni di uno e poi di due uomini identificati come neonazisti. Il primo ha rimediato lesioni guaribili in otto giorni, gli altri «parecchi lividi», anche in testa. L’ipotesi dell’accusa è che dietro questi fatti ci sia un’organizzazione di antifascisti tedeschi fondata nel 2017 a Lipsia.

Ieri gli avvocati di Marchesi, Eugenio Losco e Mauro Straini, hanno depositato presso il tribunale di Milano la lettera scritta da Salis a inizio ottobre. Una testimonianza in presa diretta delle terribili condizioni del carcere ungherese e delle ripetute violazioni dei diritti dei detenuti. «Sono stata costretta a indossare abiti sporchi, malconci e puzzolenti che mi hanno fornito in questura e un paio di stivali con i tacchi a spillo che non erano della mia taglia», si legge. La ragazza non ha avuto altro a disposizione per cinque settimane, quando il Consolato italiano le ha fatto visita consegnandole un pacco con i ricambi.

Per sei mesi non ha potuto comunicare con nessuno, famiglia inclusa. Il colloquio con il suo legale prima dell’udienza è durato solo pochi minuti e si è svolto davanti a un poliziotto. Fino al giorno in cui ha preso carta e penna Salis non era riuscita ad avere la traduzione dell’ordinanza con cui, due mesi prima, il Gip aveva prolungato di altri 90 giorni la custodia cautelare.

La descrizione delle condizioni della prigione fa venire in mente un girone dantesco: 3,5 metri quadri per detenuto; aerazione insufficiente; contiguità tra celle maschili e femminili; locali infestati da insetti, scarafaggi e topi. «Per i primi tre mesi sono stata tormentata dalle punture delle cimici da letto, che mi creavano una reazione allergica. Nonostante le mie ripetute richieste e i segni visibili che avevo anche in volto, non ho ricevuto per tutto il periodo né gli antistaminici né la crema», scrive Salis.

L’ora d’aria è soltanto una: si svolge – quando non coincide non doccia, spesa o cambio lenzuola – in aree per il passeggio collocate sotto il livello del terreno e ricoperte da una rete metallica. «Non batte mai il sole. Sono completamente asfaltate». In 25 metri quadri si ritrovano contemporaneamente fino a 15 persone, «per cui è quasi impossibile muoversi». I pasti sono due, colazione e pranzo, e la malnutrizione un elemento strutturale della detenzione. La ragazza non parla ungherese, in carcere non ci sono corsi di lingua e le è stata negata l’iscrizione alla scuola elementare proprio perché non potrebbe comunicare nell’idioma locale. I detenuti, poi, sono trasferiti in catene.

Anche sulla base di questi argomenti gli avvocati Losco e Straini chiederanno ai giudici milanesi di non consegnare Marchesi all’Ungheria di Viktor Orbán, dove secondo l’ufficio di statistica nazionale la popolazione carceraria ha superato le 19mila persone nel 2022 (a fronte di una popolazione inferiore a 10 milioni di persone). Record assoluto negli ultimi 33 anni, afferma l’Hungarian Helsinki Commmitee. A Budapest i due ragazzi italiani rischiano pene altissime, fino a 16 anni. A Salis è stato proposto di patteggiare: 11 anni dietro le sbarre. Quelle sbarre.