L’accordo tra il Psoe e Podemos potrebbe funzionare. Uno sgualcito Iglesias e uno stirato Sánchez, con cravatta d’ordinanza, hanno siglato alla Moncloa il progetto di bilancio da inviare a Bruxelles il prossimo lunedì. In rete c’è chi parla di «manovra del popolo» e già è noto lo sforamento deficit-Pil, ma quello che colpisce è la qualità sociale e di rottura delle misure che saranno varate.

Chi pensava a un ritorno di Sánchez alla guida del Psoe come una operazione di solo maquillage ora dovrebbe ricredersi, questa manovra è una rottura concreta con la politica delle larghe intese.

Evidenzia, soprattutto, che è possibile unire una sinistra tradizionale e affaticata con una sinistra nuova, legandole in una proposta di cambiamento sociale. Un esito non scontato, in queste ultime settimane in cui le pressioni per scongiurarlo, interne ed esterne, sono state forti. Alla fine è prevalsa la comune volontà di dare un volto nuovo alla Spagna, più giusto, più solidale e più libero. Cosa che anche i baroni socialisti dovranno accettare loro malgrado.

Sánchez non poteva pensare di terminare la legislatura e arrivare al 2020, continuando a governare con colpi di immagine e comunicazione, che, se anche creano consenso, è spesso instabile e non bastano a modificare i rapporti di forza nella società, a favore delle sinistre. In questo l’importanza di accordarsi con Podemos per definire le scelte per cambiare in meglio la vita di spagnole/i. Ne esce una proposta di bilancio realistica, in grado di sanare le ferite inferte in questi anni alla società spagnola impoverita dalla crisi e dal mal governo delle destre liberiste. Il preventivo di bilancio concordato porterà dosi di giustizia sociale e ambientale e un ripristino di diritti e libertà.

Aumento del salario minimo a 900 euro, pensioni legate al costo della vita, diritto alla casa, finanziamento al patto di stato contro la violenza machista e l’introduzione di congedi genitoriali paritari e retribuiti, l’impegno per l’uguaglianza, non solo salariale, fra donne e uomini.

L’accordo guarda anche al futuro e punta a fare della Spagna una protagonista della lotta al riscaldamento globale, avviando la transizione energetica verso un nuovo modello rinnovabile, abolendo quella dannosa imposta sul sole che oggi blocca l’autoconsumo. La rottura col passato è netta nella decisione di restituire diritti alle persone, derogando la legge sul lavoro e fermando l’esproprio di libertà, conseguenza della legge di pubblica sicurezza, la ley mordaza.

Ora inizia il secondo tempo della partita, quello più difficile: conquistare su questo programma di svolta il voto necessario dei nazionalisti Baschi e Catalani, l’altro pezzo della maggioranza che ha reso possibile le dimissioni di Rajoy.

Questo accordo può diventare la leva per rilanciare il dialogo sulla questione territoriale, togliendola definitivamente dal binario morto degli opposti nazionalismi, in cui sembra arenata.

Certo l’appoggio sarebbe più facile se Sánchez e il suo governo si dichiarassero a favore della scarcerazione dei detenuti politici catalani. Basterebbe ricordare che vari tribunali europei hanno negato l’estradizione per il delitto di ribellione, delitto in nome del quale i principali leader degli indipendentisti sono ingiustamente incarcerati, in attesa di un processo.

Ma l’accordo raggiunto assume un significato che supera i confini spagnoli. Se il futuro dell’Europa resta una disputa tra chi difende l’Europa delle finanze, con i suoi trattati ingiusti, e chi invece vuole solo distruggerla, alimentando vecchi nazionalismi intrisi di razzismo, la sconfitta sarà certa. La destra becera e violenta che avanza non la può fermare un generico fronte repubblicano, unito dall’idea liberista, ma devono unirsi quelle forze che alimentano il progetto di sovvertire i meccanismi dell’Europa che c’è, riportando le persone al centro delle politiche. L’intesa fra socialisti spagnoli e Podemos qualche indicazione di rotta ai naviganti la suggerisce.