Isis è tornato a Kobane dal confine turco. È giunto il momento della resa dei conti per il presidente Recep Taiyyp Erdogan: con lo Stato islamico o con la coalizione internazionale? L’atteggiamento turco verso Daesh è stato compiacente ma l’ingresso dei jihadisti in Siria alle 4 della mattina di giovedì dal valico di Mursitpinar (lo stesso nel quale siamo stati arrestati e poi espulsi) ha dell’incredibile. Gli smuggler kurdi che abbiamo sentito ci hanno confermato che dal tramonto di mercoledì erano spariti poliziotti e militari. Insomma la frontiera era libera per il passaggio di chiunque. In particolare dei jihadisti, che nel frattempo si erano rasati e avevano indossato abiti civili o addirittura dei combattenti kurdi Ypg.

E poi il caos. Una prima autobomba è esplosa a bordo di una moto a due passi dal posto di confine. Due automobili, imbottite di esplosivo, sono saltate in aria nei quartieri periferici a sud-est della città di Kobane. Sarebbero almeno 60 i morti e oltre settanta i feriti di un conflitto che è andato avanti casa per casa per tutta la giornata di ieri. Il sostegno che è arrivato dai Servizi segreti turchi (Mit) ai jihadisti con passaggi in bus, forniture di armi è cosa nota, dopo le rivelazioni di stampa alla vigilia del voto in Turchia. In questa zona grigia si inseriscono i rapporti tra Mit e servizi controllati dall’altro uomo forte turco, Fetullah Gulen, espulso negli Stati uniti. Per Erdogan e Gulen la manipolazione della questione kurda è essenziale per la sopravvivenza politica.

Ma questo gioco sta diventando pericoloso soprattutto per Erdogan, non premiato nelle urne. Facendo l’occhiolino ai gruppi radicali in nome dell’interesse nazionale, il presidente turco sta commettendo lo stesso errore di altri partiti legati alla galassia dell’islamismo politico: accettare che la minaccia salafita proliferi. Lo stesso errore è stato compiuto dai Fratelli musulmani egiziani e tutti sanno che fine hanno fatto.

La conferma che sul confine turco-siriano si stia giocando una partita tra Intelligence di mezzo mondo ci è arrivata con la notizia notte tempo dell’arresto del direttore del centro culturale Ammara. Da lì partono regolarmente stranieri e attivisti che cercano di raggiungere la Siria illegalmente con l’aiuto di smuggler kurdi perché il governo turco non concede permessi neppure per portare aiuti umanitari nel Kurdistan siriano (Rojava).

E così tre condizioni si sono verificate ieri perché i servizi dessero il via libera all’attacco jihadista. Prima di tutto i combattenti kurdi delle Unità di protezione maschili e femminili (Ypg e Ypj) erano impegnati sul fronte di Ain Issa (cittadina strategica riconquistata due giorni fa a 50 km dalla roccaforte jihadista di Raqqa) dopo lo straordinario successo della scorsa settimana con la riconquista di Tel Abyad e l’apertura del corridoio tra i cantoni di Kobane e Gezira). Questo non ha impedito ai Ypg di istanza a Kobane di intervenire contro Isis ma ha reso necessario il rientro di molti combattenti impegnati al fronte. Poi ieri tutti gli stranieri, inclusi giornalisti e fotografi, avevano lasciato il cantone di Kobane, approfittando dell’allentamento dei controlli. Infine, la delegazione di Kobane, con il governatore Anwar Muslim e la comandante Ypj, Nessrin Abdalla, si trovavano in Italia per una serie di incontri istituzionali. Questi fattori hanno facilitato l’ingresso in città dei jihadisti dell’Isis con la connivenza dell’Intelligence turca e hanno causato un’altra strage in una città fantasma la cui popolazione è allo stremo dopo tre anni di guerra.

I jihadisti si sono asserragliati poi nel liceo di Kobane non lontano dal cantone, dove già si erano sistemati nell’assedio dell’ottobre scorso. Altri jihadisti si sono diretti verso il villaggio di Barxbotan a 30 km da Kobane. Un terzo gruppo, respinto dai Ypg, ha tentato di fare rientro in Turchia. I miliziani mascherati hanno attaccato anche la città orientale di Hassakeh dove i combattimenti sono andati avanti per tutta la giornata. Mentre scriviamo il confine resta chiuso anche per il passaggio dei feriti, così com’era aperto la mattina. Ancora una volta le autorità turche parlano di «menzogna e propaganda» in riferimento alle accuse di connivenza tra Servizi e jihadisti. Eppure il leader dell’Hdp Selahattin Demirtas anche ieri ha denunciato «anni di sostegno» del governo turco ai jihadisti di Isis.