Obbligare i percettori del cosiddetto «reddito di cittadinanza» ad accettare un lavoro che non c’è in una recessione che renderà la poca occupazione che esiste ancora in Italia più precaria, sottopagata e povera, mentre si aspettano i licenziamenti che seguiranno alla fine del blocco previsto a fine anno e all’esaurimento delle casse integrazioni disposto nel frattempo.

Per aggirare il problema il presidente del Consiglio Giuseppe Conte ha promesso che il suo governo stanzierà nuovi incentivi alle imprese per le assunzioni. In pratica, per occultare la disoccupazione e la povertà lo Stato userà la ricchezza pubblica per pagare i privati. Una formula intramontabile, già usata per tre anni da Renzi e dal Pd all’epoca del Jobs Act. É la stessa prevista nella legge sul «reddito» approvata nel marzo 2019 quando Conte governava con la Lega e i Cinque Stelle.

Tra «sei mesi» Conte vuole vedere camminare una macchina ferma da un anno e mezzo. Questa accelerazione si spiega con il fatto che nel Recovery Fund sono previste le «»politiche attive del lavoro». In Germania, in Inghilterra o in Francia sono considerate fallimentari perché non permettono ai beneficiari dei sussidi di uscire dalla povertà e li condannano alla «trappola della precarietà».

A questo tende anche la legge italiana che prefigura un lavoro obbligatorio non contrattualizzato per gli enti locali, e non solo, fino a 16 ore a settimana; la formazione obbligatoria; l’obbligo a spostarsi anche su tutto il territorio nazionale. Chi rifiuta riceve una penalizzazione fino alla perdita del «reddito». L’obiettivo è accorciare i tempi dei sussidi, spingere ad accettare il maggior numero possibile di offerte di lavoro e risparmiare sulle risorse. Questo sistema non ha funzionato nei tempi in cui l’economia andava bene in paesi con una crescita sostenuta. Difficile che possa farlo oggi in Italia al tempo del Covid.

Il «network per offrire un processo di formazione e riqualificazione ai lavoratori» annunciato da Conte è in pratica un commissariamento del presidente dell’Anpal Mimmo Parisi in conflitto con tutti. Parisi è stato chiamato dall’ex ministro del lavoro Luigi Di Maio dal lontano Mississippi per realizzare l’incrocio tra la domanda e l’offerta del lavoro attraverso un algoritmo. Oggi la stessa impresa è stata affidata alla ministra per l’innovazione Paola Pisano che ha dimostrato di sapere costruire almeno una app. Si tratta di «Immuni», la «app» per il tracciamento del Covid, un fallimento ben sponsorizzato:è stata scaricata sul 17% degli smartphone.

Stavolta il miracolo algoritmico dovrebbe essere realizzato da un sistema multilivello fondato sui centri per l’impiego che dipendono dalle regioni e non hanno ancora espletato i concorsi previsti per assumere il personale; sui quasi 3 mila «navigator» precari che scadono tra sei mesi e non sono stati messi in grado di svolgere i loro sfuggenti compiti; sugli oltre 500 precari di Anpal Servizi prorogati fino al 31 dicembre 2021. Anche se è stato deciso di stabilizzarli, nessuno al governo è riuscito ad imporli all’Anpal che ha il record mondiale di precari Dunque, il sistema che dovrebbe aiutare a trovare un lavoro – con o senza l’«App» – è basato sui precari. Un paradosso clamoroso. Tra «sei mesi» i «navigator» potrebbero non essere confermati e, elemento più decisivo, non ci saranno nemmeno i concorsi regionali. Quindici governatori di centro-destra non faranno un simile favore ai giallorossi.

Questi annunci lasciano presagire una stretta «workferista» sui poveri e i disoccupati, spingendoli a fare lavori servili per lo Stato e le imprese. «Finora sono solo 400 i comuni che hanno approvato i regolamenti per i lavori di pubblica utilità – ha detto Di Maio – Aiutiamo queste persone a lavorare anche per le imprese, i commercianti e le partite Iva che pagano le tasse». La campagna si farà più violenta entro dicembre quando i primi 740 mila beneficiari chiederanno il rinnovo del sussidio per altri diciotto mesi.

In Italia il »reddito» non è un diritto fondamentale ma l’occasione per disciplinare chi lo ottiene.