Gli uffici del Nadeem Center, al Cairo, sono aperti da 26 anni: hanno visto succedersi tre regimi e hanno registrato le stesse identiche politiche. Per mettere a tacere voci critiche e opposizioni e, più in generale, per controllare un’intera società, i governi in Egitto hanno usato lo stesso strumento: la violenza fisica, la tortura, la sparizione forzata.

E oggi il Nadeem Center è testimone di un’escalation nel livello di repressione interna senza precedenti e i rapporti che stila da anni lo dimostrano: solo nel 2015, dice l’ong, si sono registrati 464 casi di sparizioni forzate, in carceri segrete e basi militari, e 1.676 casi di tortura. Di questi 500 hanno condotto alla morte del prigioniero.

Di questo si occupa l’organizzazione non governativa egiziana: di torture. Fondato nel 1993, il Nadeem Center per la Riabilitazione delle Vittime di Violenza si occupa di fornire sostegno fisico, psicologico e legale alle migliaia di persone, donne e uomini, che hanno subito torture da parte della polizia e dei servizi segreti interni. I medici curano il corpo, gli psicologici i traumi della mente, gli avvocati sostengono le vittime che vogliono procedere contro i responsabili.

Questa triplice attività ha permesso al centro di diventare una valida fonte di informazioni e monitoraggio, tanto da inviare i propri rapporti all’Unhcr, e di farsi promotore del Forum per la Promozione della Società Civile, formato da 104 organizzazioni egiziane che resistono ai tentativi di repressione del governo.

Il motivo lo spiegano nel loro sito: «Nel primo anno di lavoro abbiamo realizzato che la nostra attività non può ritenersi completa senza rendere la questione pubblica: pubblicando rapporti, facendo campagne, mobilitando i diversi settori della società. Abbiamo fatto nostro questo approccio, che si tratti di tortura, di violenza contro le donne e di ogni altra questione legata alla democrazia e alla libertà della società civile».

Lo hanno fatto sotto la dittatura di Hosni Mubarak e durante l’anno di governo della Fratellanza Musulmana: allora documentarono 359 casi di tortura, dal giugno 2012 al maggio 2013, di cui 217 terminati con la morte del prigioniero. Con il generale-presidente al-Sisi la situazione non è cambiata, ma se possibile peggiorata. E il Nadeem Center, come tante altre organizzazioni non governative, è finito nel mirino del governo militare: a febbraio il Ministero della Salute ha ordinato la chiusura dell’ong, una decisione che subito il centro ha imputato ai vertici governativi. L’accusa mossa dal Cairo era di aver sorpassato i limiti previsti dalla legge: è un centro medico, per cui non dovrebbe pubblicare rapporti o stilare statistiche.

Lo staff ha resistito alla chiusura e alla fine è riuscito ad evitarla. Ieri è giunto un secondo tentativo che rientra nella più vasta repressione delle ong indipendenti egiziane: negli ultimi mesi, sfruttando una legge del 2002, Il Cairo ha posto sotto il proprio diretto controllo le attività delle ong e poi (con l’accusa di ricevere fondi dall’estero con l’obiettivo di danneggiare lo Stato) ha lanciato una campagna volta a facilitare il congelamento dei beni delle associazioni e l’arresto dei suoi membri. Le stesse accuse con cui al-Sisi ha dichiarato la Fratellanza Musulmana organizzazione terroristica.