«Due settimane, al massimo due settimane dureranno i farmaci che abbiamo a disposizione. Poi serviranno altre forniture». Non può parlare molto il dottor Roman Kizyma, primario del reparto di oncologia pediatrica dell’ospedale di Leopoli, città nell’Ovest dell’Ucraina, per certi versi più tranquilla rispetto alla drammatica situazione di Kiev.

Il dottor Kizyma è anche referente di Soleterre, la ong che dal 2003 in Ucraina garantisce strumentazione medica e farmaci nei reparti dell’Istituto del Cancro e dell’Istituto di Neurochirurgia di Kiev. Nel 2009, nella capitale ucraina è stata aperta la «Dacha del sorriso», una casa d’accoglienza per ospitare gratuitamente più di 100 famiglie. Soleterre, grazie alla sua gemella locale, l’associazione Zaporuka, è presente anche a Leopoli. Proprio dove opera il dottor Kizyma. Quando lo raggiungiamo al telefono non ha molto tempo: «Stiamo attrezzando l’ospedale per il flusso di pazienti che arriverà dall’est Ucraina. Quanto ai medicinali, presto saranno finiti e dovremo preparare una lista ufficiale di ciò che serve». La durata delle scorte dipenderà molto anche dai numeri della migrazione interna al Paese: molti stanno lasciando le zone colpite e invase dall’esercito russo per spostarsi proprio a Ovest, il più possibile vicino all’Europa.

Più grave e complicata, invece, la situazione a Kiev dove Soleterre ha trasferito nel bunker anti-bombe dell’ospedale molti bambini malati di cancro con le famiglie. «Quindici piccoli pazienti, quelli che hanno bisogno della chemio e di essere attaccati fisicamente alle pompe sono in ospedale», spiega il presidente di Soleterre, Damiano Rizzi. «Anche molti pazienti della neurochirurgia pediatrica che non possono essere staccati dai macchinari devono restare nei reparti», aggiunge Rizzi. Il presidente ha la voce carica di angoscia quando poi ci racconta che nella notte tra giovedì e venerdì, sono riusciti a «mettere in salvo 5 famiglie trasferendole a Ternopil, nell’Ovest. Altre 4 le stiamo facendo uscire da Kiev ma non sappiamo ancora dove le porteremo».

Alla domanda su cosa potrebbe fare concretamente la comunità internazionale per sostenere il popolo ucraino, Rizzi non ha dubbi: «Di fronte a una catastrofe umanitaria, perché è di quello che si tratta, parlare di pace non serve. Serve, piuttosto, una strategia di pace, che è cosa ben diversa. Serve mettere in atto azioni concrete. Per esempio, dichiarare la massima disponibilità ad accogliere i moltissimi profughi che scapperanno dall’Ucraina per arrivare in Europa. Ecco, quello sarebbe un gesto concreto».