Hannibal Gheddafi, uno dei figli superstiti del leader libico ucciso nel 2011, è detenuto in Libano dal 2016 senza processo né accuse specifiche. La sua vita è pericolo per lo sciopero della fame che ha intrapreso in segno di protesta a partire dal mese di giugno e che è stato interrotto solo in occasione di vari ricoveri. Avrebbe perso 25 chilogrammi.

Le ultime notizie, diffuse due giorni fa dalla televisione libanese Al Jadeed, sono preoccupanti: «È stato trasferito d’urgenza in ospedale. I medici gli hanno spiegato che deve mangiare perché le sue condizioni di salute hanno raggiunto uno stadio che non può tollerare il digiuno, ma ha rifiutato».

Il Libano ha ovviamente ratificato la Dichiarazione universale dei diritti umani dell’Onu. Ma da ben otto anni non applica a Gheddafi l’articolo 9 («Nessuna persona può essere arbitrariamente arrestata o detenuta»), né l’articolo 10 («Ogni persona ha diritto a un equo processo da parte di un tribunale indipendente»).

UN SERVIZIO della Abc ha ricostruito i fatti. Hannibal Gheddafi, dal 2011 in Siria come esule, l’11 dicembre 2015 viene prelevato e portato in Libano da miliziani del gruppo armato libanese Amal. Dopo alcune settimane, la polizia libanese annuncia di aver trovato il rapito a Baalbek ma invece di liberarlo lascia andare i rapitori e lo incarcera a Beirut.

Di cosa viene accusato Hannibal Gheddafi? Quando aveva tre anni, nel 1978, scomparve in Libia l’imam sciita Moussa Sadr, fondatore del movimento Amal. La sua famiglia ritiene che Sadr sia ancora in carcere nel paese nordafricano; avrebbe 94 anni. Molti dei suoi seguaci sono poi convinti che Muammar Gheddafi abbia ordinato di uccidere l’imam. Invece, la Jamahiryia libica ha sempre sostenuto che Sadr e i suoi due compagni avevano lasciato Tripoli in un volo diretto a Roma e ha avanzato l’ipotesi di un regolamento di conti all’interno del mondo sciita. Secondo i politici libanesi, Hannibal Gheddafi sarebbe reo di nascondere informazioni sulla vicenda – malgrado fosse un bambino all’epoca. Oltretutto il codice penale libanese esonera da pena chi viene ritenuto reticente rispetto a fatti che coinvolgono congiunti stretti.

Leader di Amal è Nabih Berri, potente presidente (dal 1992) del Parlamento libanese. La sua influenza, nel caos della politica di quel paese, spiega lo stallo.

LA VICENDA è surreale. Lo dimostra il fatto che da anni chiedono invano la sua liberazione non solo un gruppo di cittadini libici residenti in diversi paesi mediorientali, ma anche varie istituzioni della Libia (non certo gheddafiana), sostenendo che il detenuto oltretutto non ha mai ricoperto ruoli politici né nell’ambito della sicurezza. Di recente Omar Kutti, sottosegretario agli esteri del governo di Tripoli, ha fatto sapere che il ministro della giustizia ha chiesto formalmente alle autorità libanesi di ricevere una delegazione per discutere del caso e anche un team medico per accertare le condizioni di salute del detenuto.
Silenzio da Beirut. Porte chiuse di fronte alla richiesta di visto rivolta all’ambasciata libanese a Tripoli tre settimane fa dalla Commissione creata ad hoc dal primo ministro libico libico (e guidata dalla ministra della giustizia Halima Busaifi) per seguire la situazione di Gheddafi. Nemmeno la lettera formale da parte del procuratore generale libico al-Siddiq al-Sour alla magistratura libanese ha sortito alcun effetto.

IN QUESTI ANNI non ci sono stati pronunciamenti da parte dell’Alto Commissariato Onu per i diritti umani (Ohchr) o del gruppo di lavoro dell’Onu sulle detenzioni arbitrarie, con base a Ginevra. E nessuna pressione sul Libano da parte di paesi influenti in grado di giocare un ruolo.