Tre minuti di plauso alla Sinistra slovena da parte di Slavoj Žižek: è la registrazione dal canale TV di SLO1 che sta girando nei social della vicina Repubblica. «Forse è l’ultima volta che sentiremo parlar bene della sinistra prima delle elezioni» dicono a Levica, il partito di opposizione più duramente contrario al premier Janez Janša. Perché ad aprile ci saranno le elezioni parlamentari e il clima nel paese è sempre più pesante, il bavaglio ad ogni opposizione è evidente. Persino durante i lavori del Parlamento le forzature ai regolamenti sono costanti pur di far passare le proposte governative e tacitare chi le critica. Il premier Janša ha lavorato di fino: dalla sostituzione dei vertici delle forze dell’ordine e delle televisioni fino alla legge sui referendum che limita fortemente la possibilità per i cittadini di esprimersi e di contare.

Approfittando di un fatto piccolo che poteva ben passare inosservato, Janša aveva cercato di arrivare anche ai singoli, in una capillare operazione di strangolamento della protesta: una proposta di legge che prevedeva mille euro di multa per chi avesse «atteggiamenti inappropriati» contro figure istituzionali.

FA RIFLETTERE il modo in cui, in quel caso, si era costruita l’ennesima campagna contro la sinistra: tweet come cannonate, scatenamento sui social e sui mass media, tante fascine da raccogliere e incendiare. Era un piccolo «incidente» capitato sul Triglav ma era stato preso al volo non per parlare di politica ma per concentrare il fuoco sulla sinistra con la scusa di una «profanazione» di quella che è la montagna sacra degli sloveni.

 

Il Triglav (Tricorno), la cima più alta delle Alpi Giulie, è il simbolo della identità slovena. Dal profondo delle sue pietre nascono la Sava e l’Isonzo; è il logo sulla bandiera e le monete dal 1991, da quando esiste la Repubblica di Slovenia. Lo era anche prima, in realtà, tanto che gli appartenenti al Fronte di Liberazione, sloveni e croati, portavano un cappello a tre gobbe, la triglavka, pensato proprio per richiamare i tre picchi del Triglav che, a guardar bene non sono proprio tre cime: il nome viene dall’antica divinità dell’aria, dell’acqua e della terra e forse sulle sue pendici vive ancora il mitico stambecco Zlatorog dalle corna d’oro, ucciso e rinato in una leggenda di fate, di cacciatori innamorati e di sangue e rose rosse che spuntano dalla neve.

SULLA CIMA del Triglav ogni sloveno, per essere tale, deve salire almeno una volta nella vita e da lì ammirare le montagne intorno, il parco con i sette laghi e, laggiù, il verde dei boschi, la pianura verso Lubiana o l’azzurro dell’Adriatico.

In questo paradiso abituato ad un devoto silenzio, il premier sloveno Janša aveva casualmente incrociato un gruppo di escursionisti tra i quali Tea Jarc, presidentessa di Mladi plus (sindacato della gioventù) che aveva colto l’occasione per accusarlo di furto di democrazia, di privatizzare servizi essenziali e di mancare di rispetto alle istituzioni e al suo popolo con un linguaggio che, come dice Slavoj Žižek «è un attacco costante alla normale decenza». Janša, seduto su una panca del rifugio Kredarica, aveva opposto a quella sfuriata una risata sarcastica «Cos’è? Oggi è la giornata di apertura dei manicomi?« per poi twittare contento di avere disinfettato, con la sua presenza, il sacro monte.

DOPO UNA SETTIMANA di attacchi alla sinistra «intollerabile disturbatrice», ecco arrivare in Parlamento la nuova legge «sulla quiete pubblica». Ma era anche successo l’impensabile: per un solo voto, al Parlamento la legge non era passata, grazie alla resipiscenza del rappresentante della comunità italiana, da sempre allineato con il governo. Rabbia livida tra i banchi della maggioranza tanto da far dire al parlamentare del partito nazionale Jelincic: «Il deputato della minoranza italiana Felice Žiža non ha tradito la realtà storica secondo cui degli italiani non ci si può fidare». Ma era stata l’ultima vittoria in Parlamento delle opposizioni.

INTANTO LA DESTRA continua a tentare di riscrivere la storia slovena anche cancellandone i simboli antifascisti, emulando la strage di migliaia di monumenti, cimiteri, targhe, busti che continua inesorabile in Croazia. La dissoluzione della Jugoslavia non è ancora finita: l’epurazione etnica che ancora avviene nello spazio balcanico è ovunque seguita e sostenuta da una epurazione ideologica e da un genocidio culturale.
Mentre Janša inaugura monumenti ai domobranci (la milizia collaborazionista nazista che combatté contro i partigiani sloveni), i rappresentanti del Fronte di Liberazione non vengono più ammessi alle cerimonie ufficiali. In un clima di questo tipo, è di grande valore la presenza di Gianfranco Pagliarulo, Presidente nazionale dell’Anpi, a dicembre, al fianco della sindaca di Lubiana e del Presidente di ZZB-NOB (l’equivalente sloveno dell’Anpi) presso la Gramozna Jama (cava di ghiaia) dove i fascisti italiani occupanti fucilarono centinaia di ostaggi. «Il Presidente dell’Anpi ha salvato l’onore dell’Italia» ha scritto il quotidiano triestino di lingua slovena Primorski Dnevnik se è vero che nessuna autorità italiana ha mai reso omaggio alle vittime dell’occupazione.