I I Si chiama Sonia Sharifi, ha 16 anni, vive ad Abdanan, città nell’ovest dell’Iran ed è curda. Rischia la pena di morte per il reato di moharebeh, «guerra a dio», nel codice penale iraniano formula usata per punire atti considerati sovversivi dell’ordine costituito. Pena prevista: la condanna a morte.

Sonia era stata arrestata a metà novembre durante proteste ad Abdanan. Secondo l’associazione Kurdistan Human Rights Network, con sede in Francia, in carcere le è stata estorta una confessione: aver preparato molotov e aver scritto slogan contro la Repubblica islamica.

Alla famiglia non è stata data alcuna notizia, né la ragazza ha potuto ricevere assistenza legale. Non sarebbe la sola: secondo il sito IranWire, con sede negli Usa, la stessa accusa di «insulto a dio» è stata mossa al 21enne Mohammad Nasiri che nei primi giorni di rivolta iraniana (iniziata a metà settembre) con tre amici ha regalato cioccolatini e abbracci nelle strade di Qazvin.

Il 15 novembre è stato arrestato, portato via con la forza da un gruppo di uomini in motocicletta. Reato «commesso»: moharebeh. L’accusa non riguarda però né cioccolatini né abbracci: come accade da mesi, gli si imputa il ferimento di un paramilitare basij. Anche in questo caso confessione estorta: un ex detenuto lo ha visto dopo ore di pestaggio, «era irriconoscibile».

Altre confessioni forzate sono state rese pubbliche dall’agenzia semi-governativa Tasnim: in un video quattro uomini e una donna ammettono di aver ordito un attentato dinamitardo. Tutti sportivi: l’arrampicatore Hessam Mousavi; il ciclista Eshraq Najafabadi; l’istruttrice di snowboard Dana Shibani e il collega Amir Arslan Mahdavi; e Mohammed Khiveh. Rischiano la pena capitale.

In carcere ieri è finito anche il noto avvocato Mohammad Ali Kamfiroozi, impegnato nella difesa di diversi manifestanti. Non è la prima volta: era stato già condannato a due anni in passato per «insulti alla Guida suprema», sentenza poi annullata.