È stata una straordinaria prova di forza quella offerta l’8 e il 9 marzo dalle donne latinoamericane. Non solamente in Cile, dove domenica, solo a Santiago, le manifestanti sono state più di un milione, ma anche in Argentina, in Brasile, in Colombia, in Messico e in molti altri paesi. Una valanga verde e viola che ha inondato le piazze del subcontinente, esprimendo una coscienza nuova e genuinamente rivoluzionaria, anche al di là delle rivendicazioni femministe storiche – contro la violenza di genere e la cultura patriarcale, per la legalizzazione dell’aborto e l’uguaglianza dei diritti -, peraltro rese ancor più urgenti dall’aumento generalizzato di femminicidi.

QUELLO CHE LE DONNE hanno riaffermato l’8 marzo e con lo sciopero femminista del 9 è, insomma, la loro leadership nei processi di lotta e di resistenza in corso in America latina, in una prospettiva esplicitamente anticapitalista e decoloniale.

È ancora una volta in Cile che il protagonismo delle donne si è rivelato in maniera più evidente, dando nuovo impulso alla rivolta popolare iniziata il 18 ottobre. Un esplicito invito, quello espresso nelle giornate dell’8 e 9 marzo, a unire tutte le forze per dare la spallata decisiva al governo Piñera, ponendo le basi per un’Assemblea costituente libera e sovrana.

MA È STATO COSÌ ANCHE in Argentina, dove la lotta per l’aborto legale, sicuro, e gratuito – che si è espressa, tra l’altro, con un pañuelazo di fronte alla cattedrale di Buenos Aires – si è intrecciata con quella contro il pagamento del debito «illegittimo e fraudolento», perché, come affermano le militanti delle diverse organizzazioni in un documento collettivo, il vero debito «è con noi, con la nostra salute, con la nostra educazione pubblica, laica e gratuita, con le nostre vite».

E LO STESSO È AVVENUTO in Brasile, dove lunedì, dopo le marce dell’8 marzo in tutto il paese contro la violenza di genere e le crescenti minacce alla democrazia, le donne del Movimento dei senza terra, al termine del loro primo incontro nazionale, hanno occupato il Ministero dell’Agricoltura a Brasilia per denunciare lo smantellamento della politica di riforma agraria da parte del governo Bolsonaro, gli attacchi ai popoli indigeni e neri, la feroce offensiva neoliberista contro i diritti della classe lavoratrice.

Ma un grande successo ha registrato anche l’iniziativa messicana di Un día sin nosotras, nata dall’invito a tutte le donne, da parte del collettivo di Veracruz “Brujas del Mar”, a rendersi invisibili il 9 marzo contro l’ondata di femminicidi che si è abbattuta sul paese.

UNA PROTESTA INEDITA che ha svuotato le strade di Città del Messico – riempiendo di donne solo la storica piazza dello Zócalo – e di altre città, come pure le scuole, gli uffici, i mezzi di trasporto. E a cui hanno aderito anche le donne zapatiste, unendo alla protesta contro la violenza di genere quella contro i megaprogetti, a partire dal Tren Maya, che il governo di Andrés Manuel López Obrador appare deciso a realizzare.