Sergey Lavrov, ministro degli Esteri russo, dopo essersi preso 24 ore di pausa è tornato a parlare dei bombardamenti della «coalizione umanitaria» sulla Siria dello scorso week-end in un’intervista alla Bbc. Ha accusato i leader di Stati Uniti, Gran Bretagna e Francia di basare le loro accuse «del presunto attacco chimico in Siria su dati dei media e dei social network». Lavrov è voluto tornare anche sulle conclusioni delle indagini dell’Organizzazione per la proibizione delle armi chimiche (Opac) sul caso Skripal.

Il diplomatico russo ha reso pubbliche le conclusioni a cui sarebbe giunto il laboratorio biologico svizzero Spiz, che aveva prelevato anch’esso dei campioni a Salisbury. Per lo Spiz ad avvelenare l’ex agente russo sarebbe stata la sostanza chimica «Bz», in uso negli Stati uniti e in Gran Bretagna ma non in Russia. Tuttavia il laboratorio svizzero ha voluto precisare subito dopo, per togliersi dagli impicci, che se a Port Down affermano di aver isolato il «Noviciok», non c’è alcun motivo di dubitare della veridicità della notizia.

A Mosca si attende ora la nuova gragnola di sanzioni dagli Stati uniti per il suo sostegno al regime siriano e già preannunciate all’Onu dal suo rappresentante permanente Nimrata «Nikki» Haley. Il Cremlino, in attesa di sapere nel dettaglio di che si tratta, ha sostenuto che queste misure contro la Russia sono di tipo terroristico, «dei veri e propri raid economici» basati sulla «concorrenza sleale per far fuori le imprese russe concorrenziali a livello internazionale», le ha definite Dmitry Peskov, portavoce ufficiale di Putin. Ma dei grattacapi per Putin arrivano ora anche dal «fronte interno». Subito dopo i bombardamenti di venerdì notte aveva preso la parola l’autorevole politologo, presidente del Presidium del Consiglio sulla politica estera e di difesa, Fyodor Lukyanov. «La Russia ha di fronte a sé scelte difficili», ha sostenuto Lukyanov. Secondo lo studioso la Russia non avrebbe la forza economica, sempre più schiacciata dalle sanzioni, per reggere un lungo scontro in Siria.

«La Russia deve fare una verifica dei suoi obiettivi e delle reali possibilità in Siria. Questa è la situazione attuale… Non si tratta del problema della risposta immediata, ma di sviluppare una strategia che possa portare al ritiro, perché nel tempo la sua vulnerabilità aumenterà», ha concluso. Una tesi che molti deputati alla Duma condividono ma che fino ad oggi si sono ben guardati all’esplicitare.

Una fronda che si sta allargando. Il giornale Vedomosti, è convinto che «gli attacchi dimostrativi contro la Siria hanno permesso alla Russia e agli Stati uniti di salvare la faccia, ma non hanno portato alla risoluzione del conflitto». Secondo il quotidiano moscovita «ciò dimostra chiaramente l’instabilità della presenza russa in Siria, dove Mosca. può agire solo fino a quando gli Stati Uniti lo consentono». Sulla stessa lunghezza d’onda l’editoriale di ieri di Kommersant, quotidiano della confindustria russa. Del resto anche l’opinione pubblica russa è molto scettica. Secondo un recente sondaggio dell’agenzia Levada di Mosca è emerso che il 49% degli intervistati è per il ritiro delle truppe dalla Siria, il 30% per la prosecuzione dell’intervento, il 21% non prende posizione.

Intanto si è appreso che a Ekaterinburg è morto il giornalista di Novyj Den Maxim Borodin che aveva denunciato nel febbraio scorso, la presenza di foreign fighers russi in Siria operanti nelle file dell’esercito regolare siriano e che in un primo tempo il governo russo aveva tentato di negare. La sua caduta mortale dal quinto piano di casa lascia più di un dubbio, visto che secondo il suo direttore, Polina Rumyanzeva, Borodin non aveva alcun motivo per togliersi la vita. Dall’ascesa di Putin nel 2000 ad oggi in Russia sono stati uccisi o sono morti in circostanze poco chiare oltre 120 giornalisti.