Le incazzature di Bordin. La sua eleganza, il suo stile nel ragionamento. Nel portamento. E il suo stile di guida, indimenticabile anche quello. Lo ricordano gli amici, i parenti, i compagni, gli avversari, i colleghi. In una parola gli ascoltatori. Perché tutti – chi in diretta, chi in replica, chi due volte – da trent’anni al mattino aprivamo prima le orecchie e poi gli occhi. Dal lunedì al venerdì, quando toccava a lui, quando c’era Massimo. E non c’è più.

A Roma si saluta Massimo Bordin, lo storico direttore di Radio radicale, autore della rassegna Stampa e regime, morto a 67 anni di veloce malattia. L’aula magna della facoltà valdese non è grande abbastanza. La folla riempie la strada e si attacca alla diretta della radio. Ed è bello anche così. L’ascolto collettivo della sua radio è un bel modo per dire addio a Bordin.

Quella volta che aveva litigato con Pannella, aveva rotto con Pannella, si era dimesso da direttore. E lo volevano al Corriere della Sera, per fare una radio anche lì. E non ci pensò nemmeno un attimo. Non ci andò. I grandi gesti di Bordin. La sua ironia. Mai arrogante, mai supponente. Molto spesso spiritoso. Un uomo colto.

Parole chiare, mai compiacenti. E noi lì ad ascoltare. E i nostri piccoli con noi. Bambini che ripetono «Buongiorno agli ascoltatori». E imparano a dire «Bordin», molto presto.

Da qualche giorno non capiscono che succede. Neanche tanto i grandi capiscono. «Era fondamentale per afferrare il senso della giornata politica». Qualcuno che se l’era perso lo recuperava con la app di Radio Radicale a metà mattina. Si poteva recuperare.

 

C’è la bara di legno chiaro, sulla bara c’è la foto quella bella che gli ha fatto Toscani, ci sono i fiori, un leggio e un microfono volante.

Parla chi vuole.

Paolo Mieli racconta il no al Corriere. «Oggi dico che ha fatto bene. A rimanere con la propria gente si fa bene». I radicali. Parlano Emma Bonino, Paolo Vigevano, Giampaolo Spadaccia, Rita Bernardini.

Ma prima di tutti parla Massimo Teodori, quarant’anni di ricordi con Massimo Bordin portati come un tappo sulla commozione. Le loro memorie «appartengono al dominio dell’amicizia». Parla il fratello di Massimo, Cristiano Bordin, e gli viene da raccontare a tutti, alla radio, che da poco le loro strade si erano riavvicinate «e per me è ancora più doloroso perderlo adesso». Il figlio di Massimo, Pier Paolo, con gli occhi pieni di lacrime sceglie di non parlare.

Per Stefano Folli, Bordin «ha dimostrato quanto sia importante per capire il paese seguire il filo costante della carta stampata». «Il giornale dei giornali», lo chiama Furio Colombo. E parlano Marco Taradash, Fiamma Nierenstein, Fabrizio Cicchitto, Michele Tricarico, Cinzia Dato, Shukry Said, Filippo Ceccarelli, Marco Di Fonzo, Luigi Contu, Vincenzo Vita, Ettore Colombo.

Bordin mancherà tantissimo ai giornalisti, che lo ascoltavano aspettando di essere citati. «Non mancherà solo agli imbecilli», dice Emanuele Macaluso.

La serietà di Massimo Bordin. E la sua attenzione alle cose buffe. Il suo non prendersi troppo sul serio. La sua mondanità. Le sue corse in auto, le sue famose carbonare. Ottime, ricorda Federico Barraco, il figlio della scomparsa Marianna Bartocelli che fu a lungo compagna di Bordin.

Passati molti anni, sono le stesse corse e le stesse carbonare che inteneriscono i pensieri di Giovanni, il figlio ancora bambino della nostra Daniela Preziosi. «Mi sono innamorato», confidò a Teodori un giorno Bordin, che pure diceva che «i sentimenti sono sopravvalutati». L’amore era Daniela. È stata con Massimo negli ultimi anni felici e nelle ultime settimane difficili, ora riesce a non piangere mentre chiede scusa agli amici per aver custodito il segreto della malattia. Ordine di Massimo: «Si è curato, ma voleva ricordare anche a chi lo amava la sua scelta di libertà. Se n’è andato con la stessa eleganza integrale che conoscete tutti».

«Abbiamo perso un gigante. Non lascia un buco ma una voragine», dice il direttore di Radio Radicale, Alessio Falconio.

Una voragine nella sua radio e in tutti noi. Perché, in questi anni difficili, la nostra convinzione che i giornali riescano ancora a tenere aperto uno spazio di discussione vacilla. Senza più il racconto di Bordin che in diretta o in replica disegnava quello spazio, costruiva le connessioni. Con la sua voce unica e i suoi colpi di tosse ripetuti.

Con i suoi improvvisi silenzi che prima agganciavano e adesso spaventano.