Con una «segnalazione urgente» inviata al governo, l’Agcom interviene sulla decisione di chiudere Radio Radicale presa dal sottosegretario Vito Crimi, e invita l’esecutivo a prorogare la convenzione con il Mise per il tempo necessario a organizzare una nuova gara d’appalto per la fornitura del servizio pubblico radiofonico che da 43 anni senza interruzione è coperto dall’«organo della lista Marco Pannella».

IN UNA NOTA STAMPA l’Autorità per le Garanzie nelle comunicazioni ha annunciato di aver trasmesso al governo gialloverde «alcune osservazioni e proposte di intervento in materia di affidamento di una rete radiofonica dedicata ai lavori parlamentari, nonché all’identificazione di un servizio media radiofonico e multimediale destinato all’informazione istituzionale con finalità di interesse generale». E ha auspicato «che al fine di assicurare la continuità di un servizio di interesse generale», «nelle more di una complessiva e non più rinviabile riforma della materia», «il Governo possa prorogare l’attuale convenzione» con Radio Radicale, «quanto meno fino al completamento della definizione dei criteri e delle procedure di assegnazione».

UNA PRESA DI POSIZIONE, quella dell’Agcom attesa e sollecitata da tempo dalla Federazione nazionale della stampa che ieri ha colto con soddisfazione l’invito dell’Autorità presieduta da Angelo Cardani «a non tagliare la convenzione senza che neppure sia stata definita la riforma del settore». Perché, fanno notare il segretario generale Raffaele Lorusso e il presidente Giuseppe Giulietti, l’Fnsi «sin dal primo momento, ha rifiutato la logica dei tagli e dei bavagli resi già operativi senza che neppure siano stati indicati i percorsi alternativi».

Mentre la procedura decisa dal governo, prosegue la nota di Lorusso e Giulietti, «va nella direzione opposta e contraria a quella valorizzazione delle differenze e delle diversità che sono alla base dell’articolo 21 della Costituzione e che, non casualmente, sono state più volte richiamate dal Presidente della Repubblica. Ci auguriamo – conclude la Fnsi – che chi, in questi giorni, anche all’interno del Governo e della maggioranza, ha solidarizzato con Radio Radicale voglia ora dare un seguito legislativo all’autorevole parere dell’Agcom».

IN MOLTI PLAUDONO le parole dell’Autorità, dal Pd a Forza Italia e FdI. Ma va registrata soprattutto la posizione del vicepresidente della Commissione di Vigilanza Rai, Primo Di Nicola, senatore del M5S che, intervistato dalla stessa Radio Radicale, ha avvertito l’esecutivo del fatto che con la chiusura dell’emittente verrebbe a mancare un «servizio di grande interesse e di grande rilevanza come quello della copertura delle trasmissioni parlamentari». Visto che in tutti questi anni di fare un simile lavoro, ha sottolineato il presidente della Commissione Vigilanza, «la Rai – che avrebbe tutti i mezzi per mettere in campo un servizio adeguato – se ne è largamente fregata». «Solo nell’ultimo piano industriale – riferisce infine Di Nicola – c’è l’idea di varare questo canale. Ma l’operatività temporale di questo servizio non è stata ancora fissata».

MA MENTRE il sottosegretario Crimi («il gerarca minore», come lo aveva inquadrato il compianto Massimo Bordin) non sembra dare segni di ripensamento, in Transatlantico si parla di un possibile emendamento al «Decreto crescita» scritto dalla Lega che avrebbe comunque i numeri per essere approvato in parlamento.

Una mossa vincente da parte del Carroccio che potrebbe fargli guadagnare visibilità e gratitudine, non solo nazionale. Infatti, gli appelli in favore di Radio Radicale trovano sponde anche all’estero. Ieri per esempio il quotidiano francese Le Monde ha dedicato un lungo articolo alla possibile chiusura di quella che ha definito «un media inclassificabile» per via dell’inestimabile valore del servizio pubblico che fornisce ma anche delle battaglie – «diritto all’aborto, situazione carceri, lotta per il diritto all’eutanasia» – a cui si dedica. E soprattutto per via dell’«archivio, vero luogo della memoria della democrazia italiana».

ANCHE il Frankfurter Allgemeine Zeitung ha dedicato ieri un approfondimento a «La voce dell’Italia libera», ricordando anche la figura di Massimo Bordin. The voice, per eccellenza. «Il M5S che aveva promesso onestà e trasparenza in campagna elettorale ha deciso di chiuderla – scrive la Faz – proprio perché trasmette troppe informazioni indipendenti. E così il M5S fa ciò che nemmeno Berlusconi era riuscito a fare». Il quotidiano tedesco ricorda anche la posizione del vicepremier Matteo Salvini che, anche per calcolo elettorale, ha più volte ripetuto che alla chiusura della storica radio avrebbe preferito la riduzione degli «stipendi milionari in Rai». Ma, conclude la Faz, «la questione è affidata al ministero dello Sviluppo economico guidato da Luigi Di Maio, che Bordin aveva definito “stalinista e gesuita” evidenziando così la natura totalitaria rinchiusa nell’ipocrisia bigotta dei Cinque Stelle. Chi teme per l’Italia ora ha paura di perdere anche la migliore radio politica del Paese».