La finestra si affaccia sul lungomare che si affaccia sulla spiaggia. Da questa posizione privilegiata si ha una panoramica diretta di come il concetto di spiaggia libera sia molto elastico, soprattutto quando i lidi sono pochi e per lo più piccoli, come qui in costiera amalfitana, dove ovunque prevalgono rocce scoscese, approdi esclusivi da ville private o alberghi, calette raggiungibili solo via mare e, quindi, se vuoi una distesa di sabbia tipo Rimini è meglio che vai direttamente a Rimini, dove si sa che il mare è un’altra cosa ed è anche per questo che Amalfi e dintorni sono famosi nel mondo intero.
Lo spazio del golfo amalfitano è limitato, causa orografia tormentata, e per questo hanno dovuto dividerlo fra il porto dove arrivano e partono i preziosi natanti che ti scorrazzano in su e in giù da Napoli a Salerno passando per Sorrento, Capri, Positano e altre perle. Alla spiaggia hanno destinato un tratto di circa 250 metri assegnati a cinque stabilimenti balneari ben corredati di lettini, ombrelloni e servizi vari. Poiché si è obbligati a mantenere una porzione di spiaggia libera, perché i litorali sarebbero bene comune e il loro accesso dovrebbe essere garantito a chiunque e ovunque, qui hanno rispettato la regola. La spiaggia libera c’è. È la sua gestione a essere un po’ creativa.

L’ESIGUA LINGUA di sabbia gode del privilegio di essere la prima a ricevere il sole, ragion per cui il tramestio cui ho assistito inizia già alle sei del mattino. Nell’angolo addossato al muro del lungo mare, c’è un baracchino da cui esce una signora che, con scopa e pattumiera, perlustra tutta la rena liberandola da lattine, bicchieri, bottiglie, mozziconi e carte abbandonate da utenti cafoni. Non ho mai visto scopare la sabbia con una scopa, ma pare che lei ci riesca benissimo.
Nel giro di cinque minuti arrivano i primi bagnanti e, dal baracchino, esce un nerboruto signore che comincia a piantare con un martello un ombrellone, poi ci piazza sotto due lettini, il tutto a ridosso del mare, poi ne pianta un secondo, un terzo, un quarto finché nel giro di mezz’ora le prime tre file della spiaggia libera non sono più libere, tant’è che un ragazzo è costretto a stendere la sua misera salvietta nelle retrovie e se osa avanzare viene subito ricacciato nel limbo.
Intanto, gli stabilimenti ufficialmente ufficiali sono ancora deserti, mentre lì, nel pezzo autogestito, è tutto un pullulare di famiglie e bambini che sguazzano, e ridono, e schizzano e si tuffano infischiandosene se il loro lettino è abusivo o regolare.

A LORO INTERESSA giocare nell’acqua, che poi è la ragione per cui tanta gente va al mare. Oddio, c’è chi ci andrebbe anche per nuotare, ma qui, in questo fazzoletto di ciottoli e acqua, tale pratica risulta un poco difficile. A circa venti metri dalla spiaggia, una fitta linea di boe crea un confine che sconsiglia ai bagnanti di oltrepassarlo, anche perché appena al di là sono ancorati un paio di yacht e quindi tu, armato di costume e occhialini, ti accorgi che ti hanno creato una piscina, di acqua salata, per carità, ma pur sempre piscina, che va dal molo alle rocce e lì ti conviene stare, se vuoi tornare a riva tutto intero. E allora pensi che, anche se sei in uno dei mari più belli del mondo, i fondali li vedrai un’altra volta, magari affittando una barca, che costa più o meno come un ombrellone e due lettini, e la stessa cosa succede pressappoco uguale a Maiori, Minori, Vietri, Cetara e, insomma, è finita che siamo andati a Ravello, dove il mare non c’è, perché sta in collina, ma è bellissima uguale.

mariangela.mianiti@gmail.com