L’intricata situazione politica spagnola si sblocca. Otto mesi dopo le elezioni politiche del dicembre passato, e a due mesi dalla loro ripetizione in giugno, s’intravede all’orizzonte il profilo di un nuovo governo. Un esecutivo forse molto debole, ma grazie al quale il popolare Mariano Rajoy potrebbe riuscire a occupare di nuovo il Palazzo della Moncloa. Un risultato che né la maggioranza degli spagnoli, né quella dei nuovi parlamentari voleva, ma che si è rivelata ineluttabile per, essenzialmente, la passività dei socialisti e il desiderio straripante di Ciudadanos di occupare i palazzi del potere quanto prima.

La presidente del Congresso dei Deputati, Ana Pastor, ben tre settimane dopo che Rajoy avesse ricevuto l’incarico dal capo dello stato (un’attesa record), ha finalmente fissato la data del dibattito di investitura il 30 agosto. Il compito le spetta costituzionalmente, ma la Carta non indica una scadenza per farlo. A partire dalla data della prima votazione, il 31 agosto, iniziano i 60 giorni che la stessa Costituzione concede al candidato all’investitura per trovare almeno una maggioranza semplice di voti. Altrimenti scatta lo scioglimento automatico delle camere. Che porterebbe, guardacaso, gli spagnoli a votare per la terza volta il giorno 25 dicembre.

Riassunto dei flemmatici passi che hanno portato alla situazione attuale. Dopo le elezioni del 26 giugno, in cui il Partito popolare è stato praticamente l’unico a guadagnare voti e seggi, era chiaro che il monarca spagnolo avrebbe affidato a Rajoy l’incarico che lo stesso leader popolare aveva rifiutato nella breve legislatura precedente per l’impossibilità di trovare appoggi. Passate le settimane di prammatica, fra convocazione del Congresso, elezione della sua presidente (stavolta una fedelissima di Rajoy), consultazioni formali del re, finalmente Rajoy riceve l’incarico. Senza alcuna fretta, strategicamente, nicchia sui tempi per il primo dibattito di investitura, e addirittura fa balenare la possibilità di non presentarsi affatto senza la certezza di essere eletto, infrangendo il dettato costituzionale (che prevede che il candidato “si presenterà” anche se non dice dopo quanto tempo). D’altra parte, coi suoi soli 137 deputati (su 350) più che un’investitura fallita, essere affossato dal Congresso sarebbe uno schiaffo politico duro da incassare persino per una pellaccia come la sua.

L’obiettivo di don Mariano è evidentemente logorare gli avversari. I socialisti, 85 deputati, sono bloccati. Sánchez, scomparso per settimane dalla scena, difende eroicamente il suo “No è no”, mentre da fuori e da dentro il partito le pressioni per astenersi sono sempre più forti. Ma non prende nessuna iniziativa: né esibendo negoziati con i 72 deputati di Podemos (contatti che invece smentisce veementemente), né con qualche richiesta al Pp per alzare il prezzo. Ciudadanos passa invece in poche settimane da un “rotondo No” a un governo di Rajoy, al “regalo” di una astensione (in realtà, ottenendo un posto chiave nel tavolo della presidenza della Camera), in attesa dell’astensione del Psoe, fino la settimana scorsa all’offerta di un sì all’investitura a cambio dell’accettazione di un pacchetto minimo di condizioni low-cost per i popolari, una delle quali era quella di fissare il benedetto dibattito.

Ma Rajoy, vecchia e orgogliosa volpe, si è preso una settimana, fino a giovedì, per far abbassare le penne e rispondere a Rivera e “concedergli” una data che aveva già in mente da tempo: quella per cui gli sia facile dire in caso di bocciatura che “per colpa dei socialisti” si deve tornare a votare un giorno così improbabile come quello di Natale. Nel frattempo, le elezioni basche e galiziane sono state fissate il 25 settembre, ben entro i due mesi per formare governo, cosa che potrebbe dare a Rajoy nuove armi. Pp + Ciudadanos + (verosimilmente) la deputata di Coalición Canaria arrivano a 170 sì. Se i nazionalisti baschi, minacciati da Podemos, in Euskadi dovessero aver bisogno del Pp per tornare a guidare il governo basco, Rajoy può stare certo che avrà altri 5 sì del Pnv a Madrid. A questo punto gli mancherebbe solo un voto. 

Ieri, l’ineffabile portavoce popolare al parlamento Rafael Hernando firmava col suo omologo di Ciudadanos gli impegni che gli esigeva il partito arancione, come quello di far dimettere gli imputati, di concedere una commissione parlamentare per investigare la corruzione o di aumentare la proporzionalità della legge elettorale spagnola (questa sì che sarebbe una bella novità). E chiosava giulivo che era l’inizio “di un grande amore”, benché Ciudadanos faccia di tutto per baciare il rospo il più furtivamente possibile e solo per poter dire che grazie a loro la Spagna si salva dall’abisso. Ma mancano ancora molte puntate per sapere se per Rajoy sarà davvero lieto fine.