Bab Jebli a Sfax è il luogo dove le contraddizioni della Tunisia prendono forma. Da una parte offre una spiegazione chiara alle migliaia di arrivi in questi giorni a Lampedusa. Dall’altra rappresenta l’esempio plastico del fallimento del Memorandum d’intesa firmato dall’Unione europea con la Tunisia il 16 luglio scorso e fortemente voluto dalla premier italiana Giorgia Meloni.

OGGI, NEL CENTRO della seconda città del paese e principale punto di partenza per i migranti di origine subsahariana, ci sono ancora migliaia di persone che vivono per strada esposte a ogni tipo di violenza sia da parte della popolazione locale che della polizia. La spiegazione è semplice: da mesi le loro condizioni di vita sono nettamente peggiorate anche a seguito di duri discorsi di stampo razzista e xenofobo pronunciati dal presidente della Repubblica Kais Saied negli ultimi mesi.

«La situazione a Sfax è fuori controllo – dichiara al manifesto Romdhane Ben Amor, portavoce del Forum tunisino per i diritti economici e sociali – e questo permette di partire. Vale per i subsahariani ma anche i tunisini. Le autorità locali non hanno i mezzi necessari per continuare a controllare le frontiere e questo provoca ulteriori pressioni in Europa per ricevere sempre più aiuti. C’è una complicità indiretta».

Se da inizio anno la Tunisia è diventata uno dei punti principali dell’agenda di Bruxelles quasi solamente per l’ambito migratorio, il piccolo Stato nordafricano rimane un paese che sta affrontando una durissima crisi economica, politica e sociale interna.

«Ho visto un Paese in sofferenza, sotto pressione, che fa fatica a vedere una via di uscita dalla crisi che sta vivendo. Kais Saied attacca i partiti, i corpi intermedi, la magistratura e i giornalisti e attraverso decreti presidenziali lede le libertà democratiche. La Tunisia va aiutata economicamente perché le persone più svantaggiate devono vedere la prospettiva di un lavoro e di una vita dignitosa. Con un presidente che ha accentrato su di sé tutti i poteri e che non ha un piano economico gli investitori scappano», dichiara al manifesto Laura Boldrini, presidente del Comitato permanente della Camera sui diritti umani nel mondo, appena rientrata da una missione a Tunisi con Giuseppe Provenzano, responsabile esteri nella segreteria nazionale del Partito democratico.Una visita nel paese che invece è stata vietata a una delegazione della Commissione degli affari esteri del parlamento europeo, la quale sarebbe dovuta cominciare ieri. Attraverso un semplice comunicato il ministero degli Affari esteri di Tunisi ha bloccato tutto senza dare spiegazioni.

«ERA UNA VISITA PREVISTA da tempo. Questo è un precedente stupefacente, neanche nei paesi più autoritari è mai successo – sono le parole del deputato della sinistra al parlamento europeo Emmanuel Maurel -. Ci vogliono punire per quanto abbiamo detto e denunciato riguardo ai diritti umani».

Le reazioni non si sono fatte attendere e una delle prime rivendicazioni della delegazione è stata la sospensione del Memorandum di intesa, come dichiarato al manifesto dal deputato Dietmar Köster: «È uno scandalo. Il memorandum dev’essere sospeso. Von der Leyen nel suo discorso sullo stato dell’Unione europea ne ha rimarcato l’importanza ma noi non abbiamo diritto a sapere come vengono spesi questi soldi. Non è accettabile».

Mentre gli sbarchi a Lampedusa continuano e le condizioni interne della Tunisia continuano a peggiorare, la domanda che sorge spontanea è una: si può dichiarare fallito un Memorandum pensato per risollevare le casse del paese e bloccare le partenze?

«LA COMMISSIONE EUROPEA ha firmato un memorandum con la Tunisia senza un dibattito in parlamento e senza porre quella clausola che dal 1995 viene sempre inserita negli accordi con i paesi terzi che riguarda il rispetto dei diritti umani. Non si può firmare una cambiale in bianco con Saied. Se l’obiettivo del memorandum tra l’Ue e la Tunisia tanto voluto da Giorgia Meloni era di bloccare i migranti, i fatti dimostrano che si tratta di un buco nell’acqua. Abbiamo già visto che non funziona», conclude Boldrini.