Sergio Cofferati lascia il partito che voleva fondare, quello che nella sua idea – ma anche in quella dei suoi compagni ex Sel Fratoianni e De Cristoforo, ed ex Pd Fassina e D’Attorre – doveva essere aperto e cosmopolita: accogliere la diaspora degli iscritti democratici sfiniti da Renzi, riunire i giovani dei movimenti non ipnotizzati dalle 5 stelle, e rimettere insieme le anime perse della sinistra dei partiti e della militanza, insomma la «nuova cosa» che dalle ceneri della vendoliana Sel voleva essere «il partito oltre il partito» come si giurarono reciprocamente alla kermesse «Cosmopolitica», a febbraio, da Casarini a Pisapia ai sindacalisti della Cgil in un’allegra babele di storie passate con l’intenzione di farle passare davvero.

L’ex segretario della Cgil, oggi europarlamentare indipendente del Gruppo Socialisti e democratici, quello dello scontro con il D’Alema blairiano degli anni 90, quello dei tre milioni al Circo Massimo contro l’articolo 18 nel 2002, l’uomo della speranza del Correntone poi ’ritiratosi ’ a fare il sindaco di Bologna, e infine pochi mesi fa quello che ha lasciato il Pd e ha guidato alle regionali della Liguria la sinistra-sinistra portandola alla soglia del 10 per cento, se ne va. In sordina. Non sbatte la porta, declina con cortesia e fermezza le interviste, ultimo gesto di affetto verso la creatura politica neonata ancora non nata.

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Ma chi ci ha parlato in questi giorni ha saputo come la pensa. E ci hanno parlato i militanti che dalle regioni, a partire dalla Liguria, lo hanno chiamato per partecipare alle iniziative. E si sono sentiti rispondere no. Perché, è il ragionamento riferito, «il percorso che avevamo deciso in Sinistra italiana non è stato programmato, quindi non si è fatto», e «non si discute su niente, le poche decisioni si prendono in pochi». Prendi ad esempio l’Europa. Stefano Fassina ha esposto le sue tesi per esplorare «il “Piano B” per il superamento assistito dalla Bce e dalle altre banche centrali dell’assetto monetario», specifica «per l’intera eurozona, non l’uscita dall’euro in via unilaterale per un singolo Stato». Ma nel gruppo dirigente nessuno ha sentito il bisogno – o la responsabilità, o persino la convenienza – di allargare la discussione, coinvolgere l’unico europarlamentare di Sinistra italiana, insomma «un minimo di confronto». Poi c’è «la stasi», la maniera certa per far fallire il congresso fondativo in programma per dicembre. Un grido di allarme che Cofferati aveva lanciato a giugno sul manifesto. «Senza iscritti e senza congresso restiamo in una fase delicata di democrazia sospesa. Questo tempo va ridotto. Conosco la fatica di questo lavoro. Ma il fatto che non sia iniziato è inquietante. A settembre c’è la campagna referendaria. Come si farà il congresso a dicembre se prima di ottobre non ci saremo dati il tempo di iniziare la discussione?», aveva detto.

E poi, ancora, c’è il futuro non lontano delle prossime amministrative. Quelle appena celebrate sono andate male. Il prossimo anno ci sarà una nuova tornata, nella sua Genova c’è – ci sarebbe – Marco Doria da riconfermare. «Ma prima devi decidere chi sei, cosa vuoi fare. E sì, eventualmente, quali alleanze vuoi fare. Non discutere fa perdere anche il buon senso», ha spiegato ai suoi compagni genovesi che gli chiedevano lumi. «Così il progetto che ci siamo dati di fatto è irrealizzabile», è la conclusione sconfortante. Cofferati dunque non sarà all’«assemblea nazionale aperta» convocata sabato a Roma.

Che già parte a cattiva stella. Ieri il quotidiano Repubblica ha anticipato il documento firmato da 300 dirigenti sardi guidati dal sindaco di Cagliari Massimo Zedda e il senatore Luciano Uras che chiede le dimissioni del gruppo dirigente di Si e il ritorno a Sel. La risposta è un silenzio pneumatico, parla solo Nicola Fratoianni, che molti indicano come il futuro segretario: «Mi colpisce la rimozione, quasi psicologica di questa posizione. Mentre ripropone il ritorno a Sel e al centrosinistra cancella le ragioni che rendono quella stagione superati», dice al manifesto. «Zedda e Uras rimuovono il governo Renzi, le sue politiche, dal jobs Act alla scuola. Così il dibattito diventa surreale. Intanto bisogna sconfiggerlo al referendum. Siamo d’accordo su questo?». Uras replica sdegnato: «Ho fatto una battaglia contro la riforma costituzionale al senato, ho votato no e voterò no».

Non è che l’inizio. Ma prima dell’inizio la sinistra promessa perde già i pezzi. E pezzi forti, come Cofferati. Con il dubbio, un tormento, che perdere per strada uno con la sua storia significhi aver perso la strada.