Owen Jones è la faccia giovane e dinamica della sinistra inglese. Diventato famoso nel 2011 a soli 29 anni con il suo libro Chavs – la demonizzazione della classe operaia (mai tradotto in italiano) sugli stereotipi dei media e della classe politica contro le classi più povere basati sul mito del merito individuale, oggi è columnist del Guardian e punto di riferimento della sinistra britannica, così come del mondo Lgbtq di cui è esponente e strenuo difensore. Tradotto regolarmente dal quotidiano spagnolo eldiario.es, Owen è ormai di casa in Spagna: non manca una campagna elettorale, e partecipa ai comizi di Podemos e dei suoi alleati.

«L’unica politica in cui io credo è quella in cui sconfiggeremo il neoliberalismo, il dogma dell’austerity», spiega.

 

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Perché la Spagna è speciale?

Perché quello che è accaduto lì mi rincuora: al contrario che in molti altri paesi occidentali colpiti duramente dalla crisi, non c’è stata l’ascesa di un forte partito anti immigrazione che ha distolto sistematicamente l’attenzione. Ci sono un sacco di ragioni per cui questo non è accuduto, ma quella più importante, secondo me, è da ricondursi al movimento degli indignados da cui è cominciato tutto. Gli indignados hanno assicurato che l’obiettivo della rabbia della gente fosse quello giusto; da loro in Inghilterra e in Europa abbiamo imparato molto. Podemos e i suoi alleati mi interessano e mi ispirano, sia come progetto politico, sia per il loro linguaggio. Dobbiamo unire le forze.

Non riesco a pensare a due paesi europei più diversi di Spagna e Regno Unito.

Onestamente credo siano più simili di altri. Però è vero: la storia è diversa, se non altro perché la Spagna è stata vittima di una crudele dittatura d’estrema destra. Ma la storia della sinistra inglese è stata sempre legata a quella spagnola, basti pensare alle brigate internazionali della Guerra Civile in cui hanno combattuto in molti, un’eredità importante per la sinistra inglese. Ma certamente sono sistemi politici diversi: la lotta internazionale si manifesta secondo le circostanze culturali e storiche di ciascuna nazione. Ma in comune c’è la lotta contro l’austerity e per la costruzione di società diverse, e il fatto che in Spagna come in Inghilterra e come negli Stati Uniti la sinistra è in ascesa.

E allora perché non vincono?

Podemos è nato solo nel 2014, ed è diventato uno dei tre partiti più importanti già l’anno dopo. È un risultato formidabile, ha distrutto i dinosauri del sistema bipartitista. E se i socialisti si fossero comportati diversamente, potrebbe esserci una coalizione di sinistra oggi al governo. Nel Regno Unito il Labour è in vantaggio nei sondaggi. Ma in generale, come sappiamo dalla storia, la crisi del capitalismo non avvantaggia automaticamente la sinistra: negli anni trenta finì con l’autoritarismo e negli anni settanta con il neoliberalismo. Ma io credo che stiamo vedendo come le sinistre finalmente si stiano dando da fare; sono messe molto meglio che un paio d’anni fa. Viviamo in società polarizzate, abbiamo la sfida di conquistare le generazioni più anziane, che sono socialmente molto più conservatrici e, almeno nel Regno Unito, sono state più protette della classe lavoratrice dagli effetti della crisi. Io credo comunque che ci sono opportunità interessanti per la sinistra, anche se non sarà facile.

E nel resto d’Europa?

È chiaro che c’è una crisi della socialdemocrazia. I partiti socialdemocratici sono passati dal sostegno al dogma del mercato ad applicare direttamente, come in Spagna o in Grecia, tagli che colpivano il loro stesso elettorato; o almeno ad appoggiare l’austerity. Ed è finita in Germania con un Spd al 20%, in Olanda socialisti al 6%, la stessa percentuale delle presidenziali in Francia dopo la stagione Hollande. In Portogallo c’è un governo lontano dalla perfezione, e un partito socialista tutt’altro che radicale; le misure progressiste sono soprattutto merito del Bloco. Ma vediamo l’inversione di tendenza contro l’austerity e un voto di sinistra fra i più alti in Europa. Mélenchon, così come Podemos o Corbyn, mostrano qual è il futuro della sinistra europea: offrire un’alternativa radicale e che suscita speranza contro l’austerity e il neoliberalismo, senza ledere i diritti e le libertà per cui sono morte milioni di persone.

Quali sono le analogie fra la Brexit e la battaglia catalana per l’indipendenza?

Il voto sulla Brexit è stato soprattutto sull’immigrazione. Come persona di sinistra, ho le mie remore sull’Unione europea per il deficit democratico e per tutto quello che è successo con la Grecia. E come Podemos penso che le sinistre europee si devono unire per cambiare la Ue. Ma il referendum nel Regno Unito non c’entra con il divorzio dall’Europa, è stato la ricerca di un capro espiatorio, gli immigrati, cui addossare i problemi della casa, del lavoro precario, i salari bloccati o in discesa, i servizi pubblici ridotti all’osso. Era tutta colpa degli immigrati, stupratori e assassini, che avrebbero invaso il paese. Gli inglesi hanno percepito il referendum come un voto sul sostegno allo status quo, e ovviamente hanno votato No. Certo, senza la crisi e gli attacchi al welfare forse si sarebbe manifestato diversamente. Forse come in Catalogna.

Il capro espiatorio per gli indipendentisti è il governo di Madrid.

Il modo in cui si è comportato il Partito popolare ha messo le ali al nazionalismo catalano. Io sono a favore del diritto dei catalani a decidere sul loro futuro, ma dissento sulla secessione: bisogna costruire una Spagna diversa.