«Indietro non si torna. Di fronte al risultato non possiamo discriminare fra chi ci ha votato e chi no. Apriamo un processo, lavoriamo per aggregare chi è con noi ma anche fuori di noi. La sinistra oggi è fuori di sé». È Paolo Ferrero, ex segretario Prc, a tirare le somme dell’assemblea post voto della lista La Sinistra, domenica pomeriggio a Roma, al Teatro dei Servi. Oltre 40 interventi, 400 persone si danno dandosi il cambio nella sala troppo piccola, 5 ore di discussione. La sconfitta alle europee è amara, l’1,75% (465.092 voti) sarà quello «del partito di Peppino Impastato» (Massimo Zanella) ma consiglia di evitare conflitti anche quando le analisi non coincidono. La Sinistra va avanti a costruire «il terzo spazio» fra nazionalisti e socialisti «neoliberisti, è la conclusione. Ma la strada si farà camminando come in un’insorgenza zapatista. A metà luglio, forse il 13, approfondimento seminariale sull’Europa, proposto con un messaggio inviato da Luciana Castellina. A settembre una due giorni «ben preparata», assicura Corradino, da chi e su cosa si vedrà. Per l’immediato impegno contro la flat tax, l’autonomia differenziata e le raccomandazioni della Commissione europea perché, dice Roberto Musacchio «sono pessime, in continuità col passato e rilanciano l’attacco alle pensioni». Nel frattempo assemblee locali. Si cercherà di non sparire dai radar, soprattutto dalle lotte: Ferrero propone di stare al fianco dei portuali di Genova e dei pacifisti che si oppongono alle «navi delle armi» dirette nei porti del Sud del Mediterraneo.

LA DISCUSSIONE È APERTA, spalancata. Tutti e tutte cercano di rispondere alle domande esistenziali di un’area che stavolta è davvero a un passo dall’estinzione. E le domande sono tante. Cosa abbiamo proposto «al militante di Crotone»? Perché è andata così male se la campagna «è stata così bella» (Mauro Collina)? Certo, c’è stata l’onda nera continentale e la battuta d’arresto di quasi tutte le sinistre europee. Ma «siamo stati autoreferenziali» (Silvia Prodi, capolista Nord Est), «Non siamo percepiti come l’argine alla destra, e poi ci accusano di aver litigato troppo in passato» (Costanza Boccardi). «Non siamo utili, non ci siamo presi cura del nostro popolo almeno come, giustamente, la Mare Jonio fa di ogni barchino del Mediterraneo», riflette Raffaella Bolini (Arci), l’intervento più emozionante. Per lei l’unità è un valore: «Divisi non siamo credibili per cui dico a Sinistra Italiana e Prc: tenetevi la vostra autonomia ma rimanete insieme».

TEMA DELICATO anche se nessuno spinge l’acceleratore. Il Prc, i cui dirigenti sono in prima fila, è per andare avanti (il segretario Acerbo: «Proviamo a costruire una pratica di massa»). A ranghi sparsi invece Sinistra italiana: si è aperta la sua fase congressuale, qui militanti e dirigenti sono presenti «a titolo personale». Nicola Fratoianni, segretario dimissionario chiede un ripensamento generale: «La sconfitta non è un incidente di percorso. C’è una domanda di sinistra, ma c’è l’offerta? Ci chiedono cosa state facendo per sconfiggere la destra. La risposta non ’avanti compagni’, è cercare alleanze».

REPLICA ELEONORA FORENZA, europarlamentare uscente: «Non dobbiamo essere la variabile dipendente di un sistema di alleanze». Il Pd, insomma, è l’eterno convitato di pietra, L’assemblea nella sua maggioranza si schiera per il no a un’alleanza anche solo eventuale. Il trozkista Franco Turigliatto, con un intervento impeccabile – ve lo ricordate?, lo spauracchio del governo Prodi – che ha schierato la sua Sinistra critica fuori ma a favore della lista, parlando di nazionalisti e Pddice «le due destre». La vecchia Rifondazione ritrova le sue anime più radicali. Ma i voti sono sempre meno.

PER ANDARE AVANTI arrivano alcune idee, nessuna nuova per l’orecchio allenato. Serve un laboratorio «di una sinistra in cogestione» con i partiti, per Eleonora Cirant (capolista nel Nord ovest) che si impegna a parlare con le donne. Bene, anche se Forenza replica: «Più che la critica alla forma partito maschile serve una proposta». Marilena Grassadonia, capolista al centro e attivista lgbt, chiede di andare «tra la gente». Alfonso Gianni e Vincenzo Vita propongono «una nostra Epinay», citando il congresso dell’unità dei socialisti francesi del 71. Purché non si arrivi al frontismo contro i nazionalisti: «Ai ballottaggi scegliamo il meno peggio, ma no agli appelli al voto antifascista, con Minniti non c’è nessun fronte è possibile», per Massimo Torelli. «Se si nega il fronte però non si può negare il pericolo delle destre» (Stefano Ciccone). A proposito di ballottaggi, le amministrative interessano: Silvia Prodi invita a presentarsi alle prossime regionali in Emilia, ma andranno al voto anche Calabria e Umbria. Con lo stesso simbolo, tutti convinti, «non si cambia più».