È una delle tappe più attese, quella che deciderà il vincitore il giorno prima della passerella conclusiva a Roma: il Giro d’Italia è partito ma ancora c’è polemica intorno alla prevista cronoscalata Tarvisio-Monte Lussari.

Luoghi di storia, di religiosità, di bellezza. Racconta la leggenda che in un qualche anno del 1300 un giovane pastore trovò, proprio sulla cima del Monte Lussari, una statuetta di legno della Madonna e fu così che quel monte fu ritenuto sacro, si costruì una cappella e poi una chiesa, piccola, raccolta, con le tegole scure di ardesia. Divenne un santuario, punto di arrivo del Cammino Celeste in Italia, con il ripido Sentiero del Pellegrino che si inerpica tra le conifere per mille metri. Intorno al santuario crebbe un piccolo borgo di poche case per ristorare ed alloggiare chi arrivava. Ancora oggi quassù salgono pellegrini e la chiesetta è un rifugio dove una grande immagine della Madonna allarga il suo mantello per accoglierli. È un affresco di Tone Kralj, come anche le altre rappresentazioni e la via crucis sul sentiero, quel pittore che negli anni trenta e poi durante la guerra aveva colorato parecchie chiese in Slovenia spesso confondendo la faccia di Mussolini tra quelle dei demoni, tanto per ricordare chi aveva mandato l’esercito ad occupare il suo Paese e a violentare la sua gente.

MONTE SANTO DEL LUSSARI, SI CHIAMA COSÌ IN ITALIANO. Proprio all’estremo angolo di nordest della Penisola, da quei 1790 metri di altitudine si vede l’arco alpino dove Italia, Slovenia e Austria si incontrano: le Caravanche, il gruppo del Mangart e le guglie spettacolari del Jôf Fuârt. Quattro le lingue possibili sulle insegne e sui cartelli stradali, come in tutto il tarvisiano, e anche per il nome di questo luogo che è Svete Višarje in sloveno, Mont Sante di Lussari in friulano e Luschariberg in tedesco.

Pellegrini ma soprattutto turisti amanti della montagna, riempiono costantemente le stradine intorno alla Chiesa dei tre popoli, questo il suo nome, dove ogni casa è un ristorantino, un bar, una locanda. Per arrivarci il Sentiero del Pellegrino ma anche una più comoda cabinovia che sale da Camporosso e arriva anch’essa sul piccolo spiazzo poco a valle del borgo. Ma c’era un’altra via dal fondovalle a lassù: una vecchia strada militare, impervia, tornanti e sterrato; negli anni ’90 fu fatta una buona manutenzione con una parziale cementificazione così da poterla utilizzare come strada forestale riservata alle emergenze.

Arriva l’occasione del Giro d’Italia e il Monte Santo del Lussari diventa il traguardo della penultima tappa. Si pensa che una cronoscalata da brivido sarà una vetrina magnifica e, si sa, la pubblicità è l’anima del commercio. Ma come far arrivare il Giro, il carrozzone del Giro, lassù? Basta asfaltare la vecchia strada forestale! Detto e fatto, valutazione di impatto ambientale inesistente. «Una striscia stretta di asfalto con salite davvero impegnative che diventa inaffrontabile in caso di maltempo», racconta Maurizio Fermeglia, Presidente del Wwf Friuli Venezia Giulia. «C’è un costante pericolo di caduta di pietre ma non basta, hanno coperto anche i canali di scolo delle acque così che non diano disturbo ai ciclisti lasciando la strada in balia dell’acqua e delle frane». La vecchia mulattiera diventa una salita di asfalto mal concepita e destinata a sgretolarsi nel giro di pochi anni. Che dire? Deve durare un giorno solo, il giorno della tappa. Milioni di soldi pubblici per un solo giorno di gloria.

FATTA LA STRADA, SORGONO DUBBI che sembrano mettere in crisi l‘iniziativa. Strada troppo stretta e un piazzale d’arrivo troppo piccolo, si devono scaglionare le partenze e le automobili non possono salire: un corteo di moto da mettere al fianco dei gruppetti di ciclisti che partiranno in sequenza? Quanti partiranno? Con quale tempistica? E, soprattutto, chi quando e come torneranno indietro? Problemi organizzativi e una sequela di ipotesi che si rincorrono mentre il Giro già si snoda lungo la Penisola. Gli ultimi sette chilometri, poi, con pendenze micidiali, hanno lunghi tratti dove da un lato incombono le rocce e dall’altro scende ripido lo strapiombo: si dovranno interdire agli spettatori parecchie zone ma «abbiamo mobilitato centinaia di volontari e di alpini», dicono i responsabili. Si prevedono decine di migliaia di spettatori e non c’è dubbio che dalla Slovenia, per esempio, arriveranno in massa per incoraggiare il loro campione Primož Roglič ma c’è assai poco spazio nella zona del traguardo e lungo il percorso della salita finale. Tutti a valle? Migliaia di macchine in Val Saisera con alberi abbattuti per allargare le zone di parcheggio? Qualche fortunato potrà prendere la cabinovia, numeri contingentati e orari predefiniti, una corsa ai biglietti che, pare, si realizzerà con un clic online in una qualche data.

LE PROTESTE, GLI APPELLI DI LEGAMBIENTE, Wwf, Fiab, sono caduti nel vuoto ma le perplessità sono arrivate anche da diverse squadre che chiedono chiarezza e decisioni condivise. Arrivano bordate di critiche, soprattutto dall’estero, e lo stesso Evenepoel, il più quotato per la vittoria del Giro, rilascia interviste di infastidito stupore. Gli organizzatori ribattono stizziti: va tutto bene, troppo tardi per polemizzare, l’organizzazione si dimostrerà impeccabile. Quella tappa si farà, ad ogni costo. Rombo di motori, striscioni e champagne davanti al santuario.

Si troverà un accordo da qui al 27 maggio? Sono davvero sopite le voci che chiedono l’annullamento della tappa? Si modificherà il percorso? Si rischia la beffa ma di certo resterà il danno: la figura non esaltante del comitato organizzatore e una strada che sarà da rifare o si abbandonerà alla rovina. «Lo scandalo è che sono stati utilizzati i fondi della tempesta Vaia!», conclude Fermeglia, «soldi destinati al ripristino e alla cura dei boschi colpiti da quell’evento disastroso. Il tarvisiano non è stato toccato da Vaia, sono milioni di euro dirottati qui per un’opera sbagliata e senza futuro».