Esistono chiari motivi di politica interna che spronano l’Amministrazione Biden non solo a fermare l’invasione dell’Ucraina, ma anche – cosa ben diversa- a mettere in ginocchio l’attuale regime russo. Lo si era intuito a marzo, quando il presidente si era lasciato sfuggire a Varsavia un cri de coeur spontaneo (“per carità di Dio, quell’uomo non può restare al potere!”) che fece rabbrividire i diplomatici, mentre al Cremlino si brindava alla gaffe presidenziale.

Inutili i tentativi di Blinken di mitigare i danni, perché il mese dopo ci pensò il Segretario alla Difesa Lloyd Austin a rincarare la dose dichiarando alla frontiera ucraino-polacca: «Noi vogliamo vedere la Russia indebolita al punto da non poter più fare cose come invadere l’Ucraina». Mancavano solo due paroline – regime change – e la frittata era fatta.
A preparare gli ingredienti per un’altra frittata sta provvedendo Jens Stoltenberg, Segretario generale della Nato, a cui abbiamo stoltamente prolungato l’incarico per un altro anno.

Già a gennaio, in un’intervista a la Repubblica, aveva rivendicato il principio che non si può impedire a un Paese europeo di entrare nell’Alleanza Atlantica. Non importa che Kiev disti 3000 chilometri dall’Atlantico e solo 700 da Mosca. Invano si è tentato di convincere Stoltenberg che esiste una soluzione più ragionevole, verso cui potrebbe orientarsi il governo ucraino: cioè la neutralità, sul modello di altri sette Paesi europei. Due dei quali però (Svezia e Finlandia) abbandoneranno presto la neutralità fra gli applausi del norvegese.

Per rincarare la dose, pochi giorni fa, mentre il presidente ucraìno Zelensky lasciava intendere di rinunciare alla Crimea in cambio del ritiro delle forze russe dall’Ucraina, Stoltenberg proclamava alla stampa europea che “i membri della Nato non accetteranno mai l’annessione illegale della Crimea” (aggiungendo che ovviamente spetta all’Ucraina decidere in merito).
Forse il norvegese ignora che la parola «mai» non esiste in politica. Ma soprattutto è legittimo chiedersi: a nome di quali membri della Nato sta parlando Stoltenberg? “Not in my name” dovrebbe precisare a Biden il presidente del Consiglio Draghi in udienza ieri sera a Washington (e questa frase farebbe storia come l’altra – “Whatever it takes” – che scolpì la presidenza di Mario Draghi alla Bce).

Il nostro premier dovrebbe ricordare a Joe Biden che in Europa il «sacrosanto principio» della intangibilità delle frontiere viene rimesso in discussione da mille anni.
Se Biden lo guardasse perplesso, Draghi potrebbe ribattere: «Lei che vanta radici irlandesi non sarebbe contento di assistere alla demolizione, ossia alla non-intangibilità della frontiera con l’Ulster?». E per finire: «Presidente Biden, sappia che gli italiani sono solidali con Zelensky. Preferiscono salvare la vita degli ucraini piuttosto che rispettare il “sacro principio” della intangibilità dei confini».