Sabato pomeriggio, sole ancora alto, sulla strada sterrata in riva al Tevere – direzione nord – si sente la musica, classici da corteo come Modena City Ramblers ma anche Cccp e 99 Posse. La festa è laggiù, una macchia rossa fra i platani: magliette nuove fiammanti e un gadget anche più ambito: la parannanza da volontario alla maniera delle vecchie feste dell’Unità. Un cartello: «Figgiccì on the road again». Sì, è proprio la Fgci, federazione giovanile comunisti italiani. Nel senso: è un gruppo di trecento ex arrivati da mezza Italia. Chi è rimasto nel Pd, chi si è buttato a sinistra, chi fa volontario, chi sta a casa e brontola. Fra la piccola folla Gualtieri, Airaudo, Scotto, Marcon, Antonio Rosati, Stefania Pezzopane, Gianfranco Nappi. In grembiule da organizzatori Ines Loddo, Romina Orlando, Cecilia D’Elia, Stefano Micucci, Maurizio Venditti, Giuseppe Viggiano, Fabrizio Picchetti, Floriana D’Elia, Luca Fornari e Pierpaolo Ermini, e poi tanti, anche alcuni giornalisti ma qui in panni da ex. Quota di partecipazione 30 euro. Un caveat: non è una riunione di corrente. Anche per questo non c’è l’ex segretario della Fgci romana che oggi è il segretario del Pd, Nicola Zingaretti. Formalmente il gruppo non è molto di più di un profilo facebook con 1260 membri e una chat più ristretta per la logistica. Siamo al terzo appuntamento, il primo è stato nell’appennino tosco-emiliano, il commiato per la compagna Angela appena scomparsa, poi la ’road’ è passata per Modena, quest’anno si è fermata a Roma. Ma nel frattempo gli “ex” sono aumentati.

Cos’è, nostalgia dei bei tempi? No, giurano. O, meglio, sì, anche. Eppure la vera molla che è stato il bisogno di ritrovarsi fra chi ha avuto la stessa formazione. Per riflettere su due domandoni dei tempi dell’onda nera e della sinistra che (quasi) non c’è: «Ma che è successo? E adesso che si fa?». Il fatto è che nel mondo terribile e intricato tutto intorno, gli altri non parlano più la stessa lingua. Quindi avanti con le tavolate da otto. Porchetta e tovaglie a quadri più che un rito sono una citazione. Un’enorme bandiera rossa calata dal tetto, dono del Partito (quello vero, il Pci) al proprietario del posto, Massimo Testa, compagno della Vigilanza del Bottegone (e inviato alle manifestazioni a protezione dei piccoli, spiegano): ovvio che il vessillo non poteva restare nel cassetto. C’è anche un manifesto: «Noi la sinistra – dice – l’abbiamo incrociata da ragazzi, o poco più. Nella militanza (perché si chiamava così, ed era pure una bella parola). Quella sinistra ci ha formati, coinvolti, disillusi. L’abbiamo difesa, criticata, portata sugli altari, e a volte giudicata timida o persino subalterna. Ma era la nostra comunità. Larga, complicata, suscettibile, qualche volta aristocratica, anche se poi dove stava di casa il popolo lo sapeva. E soprattutto in quella casa ci poteva andare, mettere piede, e anche i più severi nella critica al fondo la rispettavano. Per la più parte di noi non era una “sinistra di potere”. Di governo sì, e un sacco di posti li governava, pure bene. Ma il potere come fine, scopo unico e ultimo, quello no».

Al tramonto parlano i tre ultimi segretari della Fgci. Hanno l’aria dei tre ragazzi che erano, solo un po’ cresciuti. Marco Fumagalli (80-85), Pietro Folena (85-90) e Gianni Cuperlo (88-90). Sono stati segretari con Berlinguer, Natta, Occhetto. Per evitare che la cosa prenda una piega seriosa i compagni hanno chiamato David Riondino e Diego Bianchi alias Zoro. «E adesso facciamo una bella analisi della sconfitta», attacca Zoro. Risate. Ma non ci sono solo sconfitte, reclamano i bravi ragazzi della Fgci, quelli che incontravi all’università un po’ più pettinati degli autonomi, di sicuro più accoglienti, quelli che negli anni 90 durante la Pantera litigavano con le federazioni comuniste contrarie alle occupazioni delle università. Gli anni 80, quelli di Folena, i figgicciotti sono stati nelle grandi manifestazioni del pacifismo, dell’ambientalismo. Folena ricorda come comunicò al partito che la giovanile aveva depositato il quesito del referendum contro il nucleare: tutto d’un fiato, da una cabina telefonica, nel tempo di un gettone. Le sgridate di Pajetta e di Rubbi, arcigno responsabile esteri non precisamente in sintonia con «alcuni nostri eccessi». «Non è vero che abbiamo perso» sorride Cuperlo, «abbiamo sconfitto il terrorismo e lo stragismo», abbiamo costruito «una civiltà della politica». Altrimenti perché oggi «siamo così in tanti? Perché è così vivo fra noi il ricordo di Berlinguer, a 35 anni dalla morte?» si chiede Marco Fumagalli. Poi gli anni 90, la Bolognina, e via scendendo, la fascinazione per Blair certo non veniva dalla Fgci. L’oggi è un approdo inevitabile. «La questione morale non era urlare ‘onestà onestà’ ma il tema dell’occupazione dello stato da parte dei partiti», «proviamoci ancora, la storia non è finita». Folena: «Oggi c’è un mondo senza voce, non si può andare avanti così». Cena, discussione fino a notte fonda, musica.

La mattina dopo si ricomincia: Luciana Castellina, dirigente comunista poi radiata con il gruppo del manifesto, poi riavvicinatasi al Pci con l’ultimo Berlinguer, il segretario che è il filo rosso di questa storia. Castellina, oggi infaticabile costruttrice di ponti, racconta la sua “scoperta del mondo” nel Fronte della Gioventù dei comunisti e dei socialisti, la madre della Fgci. Tessera Pci 1947: la sua è una masterclass sul comunismo di ieri ma soprattutto sulla sinistra di domani. Alla fine scatta la voglia di intervenire ed è subito ‘attivo’. Sono soprattutto domande: perché la sinistra è spezzettata, perché non dà una mano ai civici, perché non ci sentiamo più rappresentati. Castellina propone di rivedersi ancora, «fondiamo un partito?», scherza. No, ma ’rivediamoci presto’, un seminario, un incontro, una rete, comunque non lasciamoci più. La festa è finita, per stavolta, «Ma se dobbiamo se pensiamo che sia finita davvero, allora smettiamo di vederci», dice Romina. Prossimo appuntamento Napoli. Tutti firmano il cartellone, c’è una frase di Berlinguer: «Noi siamo convinti che il mondo, anche questo terribile intricato mondo di oggi, può essere conosciuto, interpretato, trasformato e messo al servizio dell’uomo, del suo benessere della sua felicità. La lotta per questo obiettivo è una prova che può riempire degnamente una vita». Che significa,in fondo, «on the road again».