Gli anni d’oro del cinema algerino – celebrati con il festival panafricano (1969) – sono ormai rintracciabili solo negli archivi che alimentano la memoria della guerra di liberazione a sessant’anni dall’indipendenza (5 luglio 1962). «Cinema memoria e resistenza» è stato uno dei focus più partecipati del Festival internazionale del cinema di Algeri, conclusosi sabato, che si è svolto nella storica Cinémathèque. Memoria alla quale hanno contribuito anche film italiani come la famosa Battaglia di Algeri di Gillo Pontecorvo e Les mains libres di Ennio Lorenzini, recentemente restaurato, al quale è dedicato l’ultimo numero degli annali dell’Archivio audiovisivo del movimento operaio e democratico (Aamod).
Il Festival ha permesso agli algerini di assistere alla proiezione di film che non avranno altre occasioni di vedere.
«Il Festival è una finestra straordinaria sul mondo per gli algerini, perché in Algeria non vengono importati film stranieri e le sale sono poche: dopo l’indipendenza erano 450 di cui una cinquantina ad Algeri, ora ne sono rimaste circa 50 di cui 8 nella capitale», sostiene Ahmed Bedjaoui, direttore artistico del Festival, autore di numerosi libri sul cinema.

UNA DECADENZA che non è recente. «Il cinema è stato assassinato negli anni Sessanta, è stata una morte annunciata. All’indipendenza le sale erano di proprietà dei coloni ma gestite da algerini, abbandonando il paese gli europei hanno venduto le sale ai gestori. Poi è intervenuta la nazionalizzazione – secondo la peggiore interpretazione del socialismo, in realtà si trattava di populismo – con la quale le sale sono state cedute ai comuni come forma di sostentamento. Gli amministratori comunali non conoscevano il cinema e invece di affidare le sale a esperti, hanno assunto decine di persone, spesso parenti e amici, non in grado di gestire, così le sale non sono state più redditizie. Molte sono diventate inagibili e nel momento in cui occorreva ristrutturarle non c’erano investimenti e sono state abbandonate», spiega Bedjaoui.
Dunque la causa di questo fallimento non sono gli islamisti che negli anni ’90 avevano imposto chiusure…
«No, la ragione è una cattiva gestione, scelte sbagliate fatte in nome del socialismo da individui che non erano socialisti e che hanno spinto Boumediene a prendere decisioni errate. La seconda decisione è stata la nazionalizzazione della produzione (1967) di Casbah film che faceva ottimi film, come la Battaglia di Algeri e lo Straniero. In tutto il mondo – anche in Urss e in Cina – erano i privati a produrre film, questo non è un mestiere da capitalisti. Invece in Algeria la produzione è finita nelle mani di baroni che approfittavano del finanziamento pubblico. Nel 1969 viene nazionalizzata la distribuzione, fino ad allora gestita da americani e francesi ma soprattutto da algerini che lo facevano dai tempi della colonizzazione. Il monopolio della distribuzione viene affidato a degli incapaci. Per me negli anni ’60 si è ucciso il cinema».

COLPISCE il fatto che ci sia un recupero degli archivi, delle produzioni relative alla guerra di indipendenza, ma in Algeria non si vedono film sulla storia più recente, il «decennio nero» (anni Novanta), o anche sull’hirak, il movimento che ha mobilitato milioni di algerini contro il sistema per due anni, fino al 2019. Per esempio Non conosci Papicha, il film di Mounia Meddour, che racconta l’assedio di islamisti a studentesse dentro l’università, non è stato proiettato in Algeria. «No, è stato vietato dal ministero della cultura», spiega Bedjaoui. È lo stesso ministero della cultura che non ha autorizzato la proiezione in anteprima de L’ultima regina (di Adila Bendimerad, Damien Ounouri), che doveva concludere il Festival. Ufficialmente perché l’anteprima di un film finanziato dal governo spetta al Ministero della cultura, tuttavia la decisione nasconderebbe problemi politici.

NONOSTANTE i pochi mezzi a disposizione ci sono molti talenti algerini nel mondo del cinema, esiste ancora un finanziamento del cinema? «Ci sono stati finanziamenti dal 1968 al 2021, i film degli «anni d’oro» sono stati prodotti con il fondo per il cinema. Il fondo ha finanziato film senza imporre censure. Il 14% delle entrate delle sale andavano al fondo. Ora non ci sono né finanziamenti né sale. Eppure ci sono film, come Argu (sogno, in berbero,ndr), realizzati con budget ridicoli, che dimostrano il talento di registi» dice ancora Bedjaoui.
C’è una speranza per il futuro? «La soluzione è che il cinema finanzi il cinema, le entrate vadano alla produzione. Però bisogna costruire le sale. Lo stato concede terreni e autorizzazioni per sviluppare supermercati, dovrebbe concedere terreni anche per la costruzione di sale. E con un periodo di esenzioni fiscali garantirebbe il loro sviluppo. Certo la tecnologia multiplex viene dall’estero ma ricreando un mercato del cinema si possono risolvere i problemi», conclude il direttore artistico del Festival internazionale del cinema di Algeri.