Sulla crisi kazaka abbiamo intervistato il professor Alexander Knyazev, dell’università di San Pietroburgo, specialista di Asia centrale,

Quali i principali fattori trainanti della settimana di violenza?

Tutto è iniziato in modo pacifico nelle regioni occidentali. Ad Aktau, la gente è scesa in piazza per rivendicazioni economiche. Va comunque osservato come sia stata anche avanzata la richiesta politica di un’uscita definitiva dalla scena dell’ex-Presidente Nazarbayev, percepito quale simbolo dell’inguistizia sociale. Sebbene massicciamente presenti sullo sfondo, le motivazioni economiche sono tuttavia marginali nello spiegare il caos in cui è sprofondato il paese. Il conflitto era destinato ad esplodere quale risultato delle tensioni che, dal momento delle dimissioni formali di Nazarbayev nel 2019, si sono accumulate ai vertici del potere. Tokayev ha assunto la carica suprema cosciente della necessità di una serie di riforme.

Al contrario, si è trovato nell’impossibilità di agire autonomamente, bloccato in una rete di veti che gli venivano posti dal suo predecessore su impulso della mafia famigliare cresciuta intorno ad esso. Tokaev ha cercato di sfruttare le proteste nel Nord-Ovest per sbloccare lo stallo sciogliendo il governo. La mossa ha messo i rappresentanti della cerchia Nazarbayev in allarme, spingendoli a scatenare i rpimi disordini nelle regioni meridionali. Ci si attendeva che Tokaev, figura percepita quale mancante del polso necessario a gestire situazioni violente, si sarebbe dimesso o avrebbe accettato le condizioni della fronda. Al contrario, Tokaev ha proseguito sulla sua linea. A questo punto, figure quali i nipoti di Nazarbayev, Kairat Satybaldy e Sanat Abish, che avevano ricoperto ruoli dirigenziali nel Comitato di sicurezza Nazionale (Knb) proprio curando i contatti con gruppi eversivi, hanno deciso di puntare sulla violenza generalizzata per vincere la partita.

I portavoce del governo hanno accentuato il ruolo del Jihadismo transnazionale, parlando di un legame con l’Afghanistan.

Una connessione diretta fra le dinamiche afghane e gli eventi in corso è fuori discussione. Anche sotto il primo regime talebano e durante l’occupazione occidentale, non vi sono mai state reti operative fra Afghanistan e resto del Centro Asia. Tuttavia, esistono gruppi jihadisti che fanno riferimento alla Turchia e ad altri paesi dell’area del Golfo. Va rilevato inoltre come il Kazakistan sia da anni impegnato in operazioni di rientro dei propri cittadini implicati nell’insorgenza Isis.

Gran parte dei rimpatriati ha proseguito un’opera discreta di propaganda. Tali soggetti sono stati agganciati dai descritti settori deviati del KNB. Ad Almaty, simili soggetti hanno sopraffatto coloro che volevano protestare per avanzare richieste sociali in opposizione a Nazarbayev ed il suo clan. Nei grandi centri urbani sono presenti masse di sotto-proletari che a lungo sono state tenute sotto controllo con politichedistributive per un paese ha goduto a lungo della manna petrolifera. Con la crisi, il regime ha dovuto progressivamente tagliare le prebende spingendo tali masse in un impoverimento divenuto intollerabile nelle condizioni della pandemia.

Che ruolo hanno avuto i clan?

Hanno giocato un suo ruolo, dato che nel sud si trovano i clan della Grande Orda da cui proviene la famiglia Nazarbayev. In senso positivo, le logiche tribali hanno confinato le proteste violente in queste zone, dato che i Kazaki occidentali non si sono sentiti coinvolti.

Le proteste hanno fornito un’opportunità all’oligarca Mukhtan Ablyazov per presentarsi quale leader alternativo.

Ablyazov non rappresenta un serio attore politico da un decennio. Ha qualche gruppo di sostegno che rilancia la sua propaganda, ma le sue possibilità di espansione sono minime. Invece, la dinamica degli eventi ha rivelato una drammatica assenza di chiare figure di leader, al massimo sono emersi capi a livello locale.

E sul piano della competizione geopolitica fra potenze?

Aprendo l’ombrello Csto la Russia ha intrapreso un passo rischioso. Qualunque cosa non dovesse funzionare verrà imputata a Mosca e ciò potrebbe avere un impatto su tutta la presenza russa all’interno della CSI. I soldati russi possono divenire oggetto di possibili provocazioni. Allo stesso tempo, l’intervento è stato per la Russia il male minore, date le potenziali ricadute del caos sul proprio territorio.