Prima si chiamava Belt and Road, ora piano d’azione Italia-Cina. Cambiano i nomi, ma non il sogno di Palazzo Chigi, da chiunque sia abitato: aumentare le esportazioni sul mercato cinese e attirare maggiori investimenti cinesi in Italia. Giorgia Meloni compresa, che i media cinesi ora elogiano per la sua «strategia pragmatica» che l’ha portata a proporre il programma triennale di rafforzamento dei partenariato strategico tra i due paesi. Una «contropartita» dopo l’addio all’iniziativa coniata da Xi Jinping.

Il leader cinese accoglie la presidente del Consiglio alla Diaoyutai State Guest House, dopo aver camminato qualche ora prima sul tappeto rosso di piazza Tiananmen ricevendo José Ramos-Horta, presidente di Timor Est, che in quanto capo di stato ha anche l’onore di 21 colpi di cannone della guardia d’onore.

Il colloquio tra Meloni e Xi dura circa 90 minuti, prima di una cena offerta dal presidente cinese. La premier ha definito la Cina un «partner economico, commerciale e culturale di grande rilievo». Non manca il riferimento al «canale aperto 700 anni fa da Marco Polo», figura sul cui viaggio ha inaugurato qualche ora prima una mostra al World Art Museum. Meloni chiede di «ragionare insieme» di «come garantire un interscambio che continui a essere libero, perché per farlo abbiamo bisogno soprattutto che rimanga stabile il sistema di regole internazionale». A proposito di equilibri globali, la premier ritiene che la Cina sia «inevitabilmente un interlocutore molto importante» per garantire «stabilità e pace». Secondo Palazzo Chigi, si è parlato tra le altre cose di Ucraina, Medio oriente e «crescenti tensioni nell’Indo-Pacifico». Ma il comunicato di Pechino non menziona alcun dossier internazionale tra i temi affrontati. Un segnale che forse non si ritiene l’Italia un interlocutore cruciale dal punto di vista strategico.

Come spesso accade quando si tratta dell’Italia, il tono di Xi ha un afflato storico. «Gli scambi amichevoli di lunga data tra i due paesi hanno dato un contributo importante agli scambi e all’apprendimento reciproco tra le civiltà orientali e occidentali e allo sviluppo e al progresso», dice il leader cinese, che poi chiede di «sostenere e portare avanti lo spirito della Via della Seta».

Il riferimento è in questo caso non tanto alla Belt and Road, in italiano tradotta in modo romanticheggiante, ma proprio all’antica Via della Seta, che secondo Xi deve aiutare a «vedere e sviluppare le relazioni bilaterali da una prospettiva storica, strategica e a lungo termine». Sembra quasi un implicito richiamo a una maggiore prevedibilità, dopo le accelerazioni del governo gialloverde e le retromarce di Conte bis e Draghi. Dopo aver chiesto facilitazioni ai visti per i cinesi (dopo il lancio da parte di Pechino dei free visa per gli italiani), Xi chiede a Meloni di «svolgere un ruolo costruttivo nel promuovere il dialogo e la cooperazione Cina-Ue».

Meloni, che si è detta contraria a disaccoppiamento e protezionismo, ha invece parlato di relazioni economiche col premier Li Qiang. Oltre al piano d’azione triennale, firmato il memorandum di partenariato tra i rispettivi ministeri dell’Industria. Tra gli ambiti di cooperazione, citati i veicoli elettrici, l’energia rinnovabile e l’intelligenza artificiale. Ma i dettagli concreti al momento scarseggiano, così come non è arrivato l’atteso annuncio per un impianto di produzione in Italia di uno dei colossi delle auto elettriche cinesi. Insomma, Meloni è riuscita a tenere aperta la porta del dialogo con la Cina. Ma per spalancarla bisognerà attendere la visita di Sergio Mattarella a novembre.