«Nordio ha la mia piena fiducia. Mi sono battuta per averlo come ministro». Giorgia Meloni non può non vedere il disastro comunicativo che ha fatto il suo Guardasigilli, non a caso richiamato ogni giorno alla concretezza dal sottosegretario alla giustizia Del Mastro, plenipotenziario di FdI in materia. E infatti aggiunge, dovendo intervenire sull’argomento anche da Algeri, che vedrà presto il ministro, per primo tra i colleghi, per chiedergli «un crono programma».

Per passare dalle polemiche ai fatti. Ma la presidente del Consiglio vede soprattutto un altro rischio nella gestione dell’ingombrante ministro (en passant risultato ieri quello con la dichiarazione dei redditi più alta tra i componenti del governo). Vede il tentativo di Forza Italia di intestare a sé il Guardasigilli, potendo sposarne in pieno e senza alcun problema il fumoso garantismo.

Berlusconi coglie l’attimo e compare in un video nel quale assegna a Nordio l’eredità della sua sempiterna lotta alla magistratura. Carlo c’est moi, prova a far passare il Cavaliere, traducendone, anche più concretamente di quanto lo stesso ministro abbia mai fatto, propositi e aspirazioni. Berlusconi, a differenza di Meloni, non ha il problema di dover giustificare ai suoi elettori le scivolate di Nordio su mafia e corruzione. La premier reagisce rivelando, per questa ragione, di essersi dovuta «battere» – si presume, con gli alleati, per averlo in via Arenula.

E così, sempre più, il ministro della giustizia si rivela la cartina da tornasole che fa emergere il falso garantismo della destra. Sopratutto ai danni di Fratelli d’Italia. Ma la sua debolezza scopre adesso il fianco a un’elementare operazione di entrismo di Renzi e Calenda. Tanto più il partito di Meloni e in misura minore la Lega devono correggere Nordio, tanto più Azione-Italia viva ne cantano le lodi di sponda con Forza Italia.

Come già sul «decreto Rave», con il quale ha dovuto firmare un atto che contraddiceva tutti i suoi annunci, il ministro potrebbe trovarsi di nuovo in imbarazzo quando Fi e renziani proveranno a spingere il disegno di legge sulla separazione delle carriere. Argomento, questo, tanto perfetto per la polemica quanto scollegato dalla realtà: una riforma c’è appena stata e le funzioni tra giudici e pm sono ormai distantissime. Ma va così con la giustizia usata come terreno di manovre politiche.

Chi ieri ha provato a riportare il discorso sul piano dei fatti è stata Magistratura democratica, che in un lungo documento ha analizzato la questione della procedibilità a querela. Per giorni si è accusata la riforma Cartabia di mandare liberi i delinquenti, salvo spingere il governo a un intervento che con la riforma Cartabia non c’entra niente. «Hanno prevalso i toni allarmistici», scrive Md. Mentre «rimettere alla persona offesa la scelta sulla perseguibilità di un reato, quando riguarda un bene giuridico disponibile e leso in modo non irreversibile, risponde all’interesse della giustizia».