Giorgia Meloni non vuole crociate contro la magistratura. La denuncia esplosiva del ministro della Difesa Guido Crosetto è stata derubricata nel giro di 24 ore a una chiacchiera riportata da chissà chi. I decreti attuativi della riforma Cartabia varati ieri dal consiglio dei ministri sono soffici che più soffici non si potrebbe. Era chiaro che sarebbe andata così da quando, il 28 aprile scorso, il ministro Nordio aveva nominato una commissione di 26 membri per approfondire la nuova regolamentazione dei magistrati fuori ruolo e ci aveva messo dentro 18 magistrati di cui 10 appunto fuori ruolo. I criteri applicati dal dl di ieri, infatti, sono all’acqua di rose. Il numero dei fuori ruolo nella magistratura ordinaria scende sì ma di un soffio, da 200 a 180, e 40 magistrati fuori ruolo possono essere collocati presso organi diversi dai ministeri Esteri e Giustizia, dal Csm e dagli organi costituzionali.

ALLA VIGILIA SI ERA SPARSA la voce di una trovata inedita, l’inserimento di test psico-attitudinali per valutare l’accesso in magistratura. Le toghe la avrebbero presa male ma, anche se se ne è effettivamente parlato in preconsiglio, poi non se ne è fatto niente. Anche il secondo decreto attuativo, nel quale la voce spinosa poteva essere la valutazione dei magistrati, il “fascicolo personale”, passa senza colpo ferire. La valutazione, sin qui fissata ogni 4 anni, adesso diventa “continua” e non si capisce bene cosa voglia dire. Sono anche precisati gli elementi sui quali basare la valutazione e non è che ci volesse gran fantasia per parlare di “imparzialità”. “produttività”, “laboriosità” ecc. In caso di valutazione positiva, viene aggiunta una seconda valutazione, con scala da discreto a ottimo, sulla “capacità di organizzare il lavoro”, destinata a essere presa in considerazione nell’attribuzione di incarichi direttivi: non si può dire che l’innovazione sia di portata rivoluzionaria o anche solo rilevante.

Il segnale è chiaro: sul fronte delle riforme la magistratura non ha nulla da temere. Il viceministro forzista alla Giustizia Sisto ci prova a rilanciare la separazione delle carriere, pur senza nominarla: «È fondamentale ora una riforma anche costituzionale». È un atto dovuto e probabilmente lo stesso Sisto sa perfettamente che quella promessa è destinata a restare nel libro dei sogni. Non è questo il momento per ingaggiare un braccio di ferro col potere togato e forse ancora più temuto è quello col capo dello Stato: non quando è in corso una partita sul premierato più difficile di quanto la premier prevedesse.

MA ALLORA PERCHÉ proprio la premier ha dato il semaforo verde all’affondo di Crosetto? Il ministro della Difesa, si sa, ha una cultura garantista assente nella stragrande maggioranza del suo partito tricolore e dunque la spinta verso un confronto più muscolare con il potere togato è comprensibili. Crosetto, poi, assicura di non aver parlato con la presidente prima dell’affondo. Però non potrebbe dire altro e la credibilità, in questo caso, sfiora lo zero. Dunque il quesito resta. Il problema è che, se Meloni non vuole la guerra, in compenso non è affatto certa che a volere lo scontro non sia una parte della magistratura, essendo peraltro sospettosa e portata a immaginare complotti con una certa facilità. Il pronunciamento contro il suo premierato della magistratura non la ha lasciata indifferente. Le voci riportate da Crosetto, per quanto derubricate a sentito dire, non la hanno resa più tranquilla. Dunque ha colto l’occasione per lanciare un messaggio preciso: il governo non vuole la guerra contro la magistratura ma se la tregua dovesse saltare è pronto a combatterla.