Finalmente anche in Italia esiste un fondo abbastanza ricco di testi che offrano il pensiero di John Muir (1838-1914). Fino a poche stagioni fa Muir era un nome per pochissimi, prevalentemente studiosi o appassionati lettori di American Studies, camminatori, naturalisti, viaggiatori, magari un po’ snob.

NEI BOOKSHOP DEI PARCHI nazionali del Nord America John Muir è presente e santificato come un Walt Whitman dei boschi e delle lontananze, come un Thoreau ma più capace di uscire dalla propria solitudine e dialogare addirittura con presidenti degli Stati Uniti. I libri di JM figurano come una stella polare, rappresentano una delle voci più autorevoli di quell’inno alla natura selvaggia che ha incartato una delle grandi novità della nascente letteratura americana, giunta splendidamente fino a noi, di generazione in generazione.

NEI PARCHI CALIFORNIANI capita di imbattersi in giovani rangers che indossano lunghe e folte barbe alla JM, che accompagnano orde di turisti ad ammirare enormi massi di granito, pirotecniche cascate, folte foreste di conifera, sequoie millenarie e altro ancora brandendo libelli stropicciati degli scritti di JM che recitano a memoria. JM ha tenuto un diario per la maggior parte della sua vita. Da queste pagine ha poi tratto i materiali utili per la stesura dei suoi libri, che hanno avuto alterna fortuna anche in patria, per poi diventare, nel corso degli ultimi cento anni, una crescente e costante attenzione.

IN ITALIA LA SUA STELLA non ha brillato come quelle di Whitman, Thoreau o Emerson. Il suo primo libro tradotto è stato La mia prima estate nella Sierra, pubblicato da Vivalda, nella storica collana I licheni, nel 1995, erano trascorsi «solamente» ottant’anni dalla sua morte. Questo stesso testo è stato recentemente ripubblicato da Keller. Vent’anni dopo è uscito Mille miglia in cammino fino al golfo del Messico, per le Edizioni dei Cammini dirette da Luca Gianotti. Quindi tra il 1919 e queste nostre settimane sono sbocciati due volumi per La Vita Felice di Milano, Una tempesta di vento nella foresta (a cura di Luca Castelletti) e Stickeen. Storia di un cane (a cura di Saverio Bafaro e Massimo D’Arcangelo) – di questo testo esiste anche una recentissima edizione a cura dell’editore Lindau di Torino – quindi due collettanee di saggi, Andare in montagna è tornare a casa. Saggi sulla natura selvaggia e Le montagne mi chiamano. Meditazioni sulla natura selvaggia, a cura di Alessandro Miliotti, per Piano B Edizioni di Prato.

DIVERSI TESTI SONO TRATTI da articoli usciti su magazine e giornali, alcuni passi dai capisaldi della sua scrittura: Our National Parks, Travels in Alaska e The Mountains of California. Esiste anche una biografia, Potevo diventare milionario ho scelto di essere un vagabondo, una delle sue famose massime, a cura di Alexis Jenni (di nuovo Piano B).

FAREMO DUE PASSI nelle pagine di Le montagne mi chiamano, possiamo portarlo con noi nello zaino per farci compagnia magari la sera arrivati al rifugio; sono brani estrapolati da opere note e da articoli che raramente superano le 4 o 5 pagine. Entriamo nelle parole di Muir.

A PAGINE 57 INCONTRIAMO ad esempio il dilemma tra studio e pratica, a pagina 112 cascate, rupi, rocce, a pagina 159 cornacchie, gru e lupi. Quel che conta è il passo del pensiero di JM, la sua attenzione ad ogni dettaglio, il costante respiro religioso di una visione cosmica e innervata dalla presenza di un Dio generoso: «Nella selvatichezza di Dio sta la speranza del mondo – nella grandiosa natura selvaggia integra e irredenta. Lì è dove svaniscono gli amari finimenti della civiltà, lì è dove le nostre ferite guariscono prima ancora di rendercene conto». «Questo meraviglioso spettacolo è eterno. È sempre l’alba da qualche parte; la rugiada non si asciuga mai in una sola volta; una pioggia cade sempre; sempre si effonde il vapore. Eterna alba, eterno tramonto, eterna luce e oscurità, sui mari e continenti e isole, ciascuno a sua volta, mentre la terra rotonda continua a rotolare». Complimenti al traduttore, Andrea Roveda, ottima sensibilità.