Debbo a Aldo Garzia la conoscenza di Filippo. Con Filippo ci siamo incontrati tanti anni fa, nella stagione del manifesto quotidiano, ci siamo incontrati, ma dire conosciuti sarebbe un azzardo. Lui era immerso nella macchina giornale, un’impresa tanto difficile quanto esaltante, io ero alle prese con la realtà caotica dei movimenti romani e poi con i complicati tormenti della nuova sinistra. Filippo svolgeva un ruolo politico fondamentale, del quale solo più tardi alcuni di noi hanno avuto piena consapevolezza. Come ebbe a dire in tempi recenti, lui era e si considerava una persona discreta. Forse questa sua discrezione lo ha tenuto distante dai luoghi formali e rappresentativi della politica, o forse la politica non ha la sapienza di cogliere il valore reale degli individui.

Che Filippo fosse una persona di valore è cosa certa, né il manifesto rivista né il quotidiano avrebbero avuto quello straordinario e per alcuni versi unico successo editoriale senza l’ingegno e l’operosità di Filippo. Un ingegno ricco di passione e cultura politica, ne ebbi la certezza quando, in anni ormai lontanissimi nell’androne di via Tomacelli, scambiai con lui alcune idee su uno studio sul Partito comunista che aveva scritto sul manifesto rivista insieme a Lucio Magri. Un saggio apparentemente sociologico su iscritti e composizione sociale del Partito comunista alla fine degli anni 60, ma che in realtà era denso di politica e lasciava ben intuire quale sarebbe stata la parabola, il futuro dei comunisti italiani, la necessità di nuove forme di organizzazione del partito e di partecipazione alla politica.

Di quegli anni caratterizzati da tante cose interessanti che troppo spesso liquidiamo con l’acqua sporca, vi è un aspetto indiscutibilmente distruttivo e negativo del quale ancora oggi facciamo fatica a liberarci: il settarismo delle idee e dei comportamenti. Un’ intolleranza per la diversità di opinioni che è la madre di tutte le frammentazioni e le divisioni a sinistra.

La stessa famiglia del manifesto che pure ha speso tempo e fatica sull’altare dell’unità è stata lambita da quell’onda anomala.

Anche in questo Filippo ha mostrato un equilibrio, una sapienza che non gli ha mai impedito di dialogare con tutte le personalità e le sensibilità di questa nostra lunga storia. Ci siamo incontrati nei tanti anni che abbiamo alle spalle, ma in realtà è in questi ultimi che, grazie a Aldo, abbiamo preso a frequentarci fuori dagli obblighi della politica. Di Filippo mi ha colpito la sua naturale gentilezza, la capacità di essere accogliente anche nelle situazioni più improbabili, una gentilezza per nulla formale che rivelava curiosità e disponibilità all’ascolto. Frequentandolo ne ho compreso la ragione.

Filippo era una persona speciale, le sue buone maniere non gli venivano dal galateo, ma da una biografia ricca di buona e bella cultura che per un eccesso di ritrosia e di discrezione faticava a raccontare. Il suo viaggio nella intellettualità napoletana, i suoi incontri col mondo della cultura milanese, torinese, genovese, romana, il suo circolo Francesco de Sanctis a Napoli, è lì che si è formata e nutrita la «buona educazione» di Filippo. È lì che si è formata quella intelligenza politica che ieri lo rendeva così imbarazzato di fronte all’asprezza delle discussioni interne e oggi così disponibile a tentare di ritrovare un senso alla politica anche recuperando le buone ragioni delle nostre storie. In tanti oggi piangono l’addio di Filippo, a me resta anche il rammarico di un bella amicizia che ha avuto vita troppo breve.