Cina e Stati Uniti hanno un interesse comune nella fine del conflitto e dunque i due “nemici” possono trovare un punto di accordo soddisfacente per fare pressione su Mosca. Lo sostiene il generale Vincenzo Camporini, del Comitato direttivo dell’Istituto Affari internazionali, nel giorno in cui Xi e Biden si sono parlati al telefono. Tassello di una via negoziale difficile che ha al centro la “neutralità” dell’Ucraina.

Si parla di modello austriaco, svedese o finlandese
Quelli di Svezia e Finlandia non sono modelli che possono soddisfare Mosca perché a Putin interessa una neutralità disarmata e una smilitarizzazione del Paese. Svezia e Finlandia, benché Paesi con una piccola popolazione, hanno in realtà forze armate poderose: ben equipaggiate e ben addestrate. L’Austria è un modello un po’ sui generis e con forze armate che non hanno grandi capacità operative ma è protetta dalla sua collocazione. Se comunque nella testa di Putin c’è un nuovo modello di neutralità disarmata questa non può ovviamente essere accettata da un Paese sotto invasione

C’è anche un’ipotesi che l’Ucraina abbia un suo esercito benché senza l’appoggio di basi militari straniere
L’Ucraina è un Paese di 40 milioni di abitanti e dunque avrebbe un esercito tutt’altro che simbolico senza contare che si sta dimostrando piuttosto coriaceo. Quindi mi chiedo se la Russia potrebbe concederglielo. In una parola, neutralità è soltanto un titolo che di per sé non basta.

Ci sono diversi attori che cercano o hanno una parte importante: la Turchia, l’Europa e ovviamente Cina e Stati Uniti. Ma che credibilità ha un patto tra due Imperi che si guardano in cagnesco?
Per raggiungere un accordo non è necessario amarsi ma trovare obiettivi convergenti. E’ il caso di Usa e Rpc. La fine del conflitto significa per entrambi stabilità: per Washington questa è importante in Europa per poter concentrare la sua politica in Oriente. Quanto alla Cina, un Paese con ancora un grande squilibrio città campagna, il consenso si basa sulla di sviluppo e cioè quella famosa crescita almeno del 7% da sempre obiettivo del Partito comunista e che significa poter garantire benessere e speranze. Ma lo sviluppo ha bisogno di materie prime, stabilità economica, garanzia dei flussi commerciali… Erdogan gioca la sua partita come ha per altro già fatto in Libia, in Somalia, tra azeri e armeni. Per prestigio personale, ma anche per trarne un vantaggio economico. Quanto all’Europa si sta muovendo sorprendentemente in modo solidale, fatte salve sensibilità diverse e faccio l’esempio della Polonia, che ha la tentazione di un salto in avanti e che va tenuta a freno. Io spero solo che questa vicenda sia da stimolo – lo dico da convinto federalista – perché la Ue possa fare un decisivo passo avanti

Il famoso modello di difesa europeo rievocato in qualche modo del presidente francese Macron?
Si ma a patto che si consideri lo strumento militare per quello che è e cioè appunto uno strumento. E questo strumento comune ha senso solo se è al servizio di una politica estera comune che può anche cominciare da un piccolo gruppo di Paesi che possano e vogliano costituire un nucleo iniziale. Ma senza una politica estera comune non ha senso parlare di modello di difesa comune. Ci vuole tempo: in America le cose cambiarono solo dopo la guerra di secessione, cento anni dopo l’indipendenza. Ci vuole una politica estera che si muova su interessi comuni con la diplomazia, la politica, l’economia e infine – dico infine – con uno strumento militare comune.

Inviare armi all’Ucraina non ci mette in una posizione sbilanciata come mediatori? C’è chi afferma infatti che, inviando armi, diventiamo cobelligeranti.
Non possiamo essere neutrali e credo che siano gli ucraini a doverci dire cosa vogliono. Visto che sono stati aggrediti credo sia stato giusto mandare loro armamenti che, tra l’altro, sono da difesa. Lo abbiamo fatto in una maniera che non ci fa cobelligeranti ma che aiuta il Paese il che ovviamente non impedisce la ricerca di una soluzione negoziata.

Tra i tanti punti oscuri c’è anche il capitolo Moldavia: la presenza di truppe russe in Transnistria.

Mi sono chiesto perché Mosca non si serva dei 12mila soldati mandati in Transnistria e che, impiegati in una manovra a tenaglia, potrebbero attaccare da Ovest Odessa completando la pressione da Est. Mi sono risposto che quelle truppe, inviate a presidiare la Transnistria, non sono in grado di muoversi come richiederebbe un’operazione di combattimento. Sono state lasciate li a presidiare ma senza una particolare attenzione di Mosca il che forse ora le rende inservibili. Ma è una situazione da tenere sotto controllo.